18. Perché hanno ragione anche quando hanno torto.

Come sbloccare le conversazioni difficili e gestire i conflitti nel tuo ambiente professionale. Imparerai a distinguere l'avere ragione dall'avere una buona ragione. Vedremo in che cosa davvero le persone possono avere torto quando comunicano. Lo scopo: migliorare la comunicazione e ottenere una migliore collaborazione con clienti, colleghi e collaboratori.

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Abbiamo tutti in mente una conversazione che ci ha lasciato con l'amaro in bocca. Un collega, un cliente, un collaboratore che, dal nostro punto di vista, ha "torto marcio". La nostra reazione impulsiva è quella di affermare la nostra posizione, di dimostrare l'errore altrui. Ma questo, quasi sempre, porta a un'escalation di frustrazione che blocca ogni possibilità di collaborazione.

E se esistesse una leva più potente? Uno strumento controintuitivo per sbloccare queste situazioni, trasformando un potenziale scontro in un'opportunità? Questo strumento è contenuto in un paradosso: capire perché gli altri hanno ragione, anche quando palesemente hanno torto.

Analizziamo insieme questo meccanismo per renderlo un tuo strumento operativo.

1. Avere ragione vs. avere una buona ragione: la distinzione chiave.

Spesso confondiamo due concetti molto diversi: avere ragione e avere una buona ragione.

Avere ragione implica un giudizio di valore: è giusto o sbagliato.

Una buona ragione, invece, non è necessariamente giusta, ma è sufficiente a spiegare perché una persona fa o dice qualcosa.

Se ti pesto un piede e tu reagisci dandomi un pugno, la tua reazione non è giusta, ma il mio pestone è una buona ragione che la spiega. Allo stesso modo, la stanchezza, la frustrazione o una paura sono tutte buone ragioni che motivano i comportamenti. La buona ragione è un fatto, un dato di partenza. Negarla o giudicarla è inutile; osservarla e comprenderla è il primo passo per riprendere il controllo della comunicazione.

2. Dal giudizio all'indagine.

Marco, un project manager mio cliente, era costantemente frustrato da Luca, un designer di grande talento ma caotico, che lavorava sempre a ridosso delle scadenze. Dal punto di vista di Marco, Luca aveva torto perché non rispettava i tempi interni, creando problemi al flusso di lavoro.

• L'approccio basato sul "torto": In passato, Marco affrontava Luca frontalmente: "Sei di nuovo in ritardo, questo modo di lavorare è inaccettabile!". Il risultato era uno scontro il cui unico fine era stabilire chi avesse ragione, non migliorare la collaborazione.

• L'approccio basato sulla "buona ragione": Insieme, abbiamo cambiato leva. Invece di contestare il comportamento, Marco ha iniziato a indagare sulla buona ragione di Luca. Gli ha chiesto: "Ho notato che lavori molto negli ultimi giorni prima della scadenza. Forse questo metodo ti aiuta a essere più creativo, lavori meglio con l'adrenalina?".

Questa domanda ha cambiato tutto. Non era un giudizio, ma un tentativo di comprensione. Luca, sentendosi capito e non attaccato, ha ammesso che le scadenze intermedie lo bloccavano e che aveva bisogno del "caos" e dell'adrenalina per dare il meglio.

La conversazione si è spostata dal conflitto ("Chi ha torto?") alla risoluzione del problema ("Come facciamo a far convivere il mio bisogno di ordine con il tuo bisogno di flessibilità creativa?").

3. Disinnescare l'aggressività.

L'aggressività di un interlocutore è una delle sfide più difficili. Chiara, una consulente in change management, si è trovata in questa situazione. Durante la presentazione di un nuovo software, un capo reparto con 30 anni di anzianità l'ha interrotta a voce alta, accusando il progetto di essere "l'ennesima perdita di tempo".

• La reazione istintiva: Sarebbe stata quella di difendersi, di dimostrare che "questo progetto è diverso". Un errore che avrebbe solo alimentato lo scontro.

• La leva della "buona ragione": Chiara ha capito che quell'aggressività non era un attacco personale, ma un sintomo. Un sintomo di esperienze passate negative, della paura di un altro fallimento. L'uomo aveva torto nei modi, ma aveva le sue buone ragioni per sentirsi così.

La sua risposta ha disinnescato la bomba: "Mi sembra di capire che in passato qui in azienda ci siano state delle esperienze che hanno reso il lavoro più difficile invece di migliorarlo. È così?". Con questa mossa, Chiara ha legittimato l'emozione dell'uomo, gli ha dimostrato di averlo ascoltato e lo ha trasformato in un alleato.

Il mio consiglio: la prossima volta che ti trovi in un disaccordo, fermati un istante.

Invece di lottare per dimostrare di avere ragione, usa la curiosità. Puoi chiederti: "Qual è la buona ragione dietro le sue parole o le sue azioni?". Ecco una potente leva che sblocca i conflitti e riapre la porta alla collaborazione.

Buona pratica.

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19. Per comunicare bene definiamo l'obiettivo della comunicazione.

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17. Smetti di pensare a cosa dire. Inizia a capire cosa serve all’interlocutore.