Copertina del podcast intitolato 'Public Speaking Pratico' con il testo in bianco su sfondo arancione e una foto di un uomo con occhiali e barba.

Il podcast di Stefano Todeschi

Per imprenditori, manager e professionisti che vogliono comunicare con sicurezza e autorevolezza. Nuova puntata: ogni giovedì mattina.

Cerca qui quello che vorresti approfondire sui temi del parlare in pubblico e delle interazioni umane:

Stefano Todeschi Stefano Todeschi

27. Comunicare con sicurezza con la tecnica del focus.

Come aiutare chi ascolta i nostri interventi a mettere a fuoco bene i nostri concetti e il messaggio che vogliamo che capisca.

Comunichiamo in modo insicuro quando presentiamo i contenuti a raffica, non lasciando spazio a chi ascolta per comprendere i concetti, portando gli ascoltatori a perdersi e a sganciarsi dall'ascolto.

Qui vediamo come imparare a comunicare con sicurezza e autorevolezza, portando messaggi chiari grazie alla messa a fuoco graduale sui contenuti che stiamo esponendo in quel momento.

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Quando presentiamo contenuti correndo e a raffica, facciamo sentire un senso di insicurezza a chi ascolta. Che con tutta probabilità ha la sensazione che non siamo davvero concentrati (in focus) su ciò che stiamo dicendo, ma abbiamo una preoccupazione. Ansia di dire tutto, ansia da prestazione, paure sulla propria comunicazione…

Preoccuparsi significa occuparsi prima di ciò che non è ancora presente. È come guidare e preoccuparsi degli incroci successivi che sono ben più in là, perdendo di vista i metri che stiamo percorrendo adesso. Richiede dispendio energetico e produce confusione sul presente.

Il Focus come strumento di sicurezza.

La comunicazione insicura porta l'ascoltatore a perdersi e a sganciarsi dall'ascolto. Perciò è importante lavorare sul focus concentrandoci su ciò che stiamo dicendo in questo preciso luogo e a queste specifiche persone presenti.

Legge fondamentale della comunicazione: presentare significa letteralmente portare nel presente i contenuti.

Se stai portando contenuti che sono il tuo pane quotidiano e che conosci bene, perché devi preoccuparti così tanto di ciò che deve ancora venire? Il focus ci aiuta a non preoccuparci di ciò che ancora non abbiamo detto e ad occuparci di ciò che stiamo dicendo mentre lo stiamo dicendo.

Il focus funziona esattamente come la messa a fuoco della macchina fotografica. Ecco i tre passaggi, confrontati con la comunicazione in pubblico.

  1. Soggetto a fuoco: in una fotografia il punto a fuoco è esattamente il concetto che stai portando in questo preciso momento.

  2. Soggetto fuori fuoco o sfocato: in una fotografia sono le parti che riusciamo a cogliere, ma non distinguiamo i contorni con precisione. Nella comunicazione i soggetti sfocati corrispondono ai concetti che ci appartengono per ragioni di conoscenza nostra, ma che mentre stiamo parlando ancora non sono stati messi a fuoco. Noi sappiamo che esistono, perché ne siamo esperti. Chi ascolta invece ancora non ne conosce l'esistenza. La conoscerà mano a mano che noi procederemo con la nostra presentazione.

  3. Nitidezza costruita: la nitidezza assoluta (il vero fuoco) è su un punto solo. Man mano che procediamo nel nostro intervento, spostandoci di fuoco in fuoco, i concetti già messi a fuoco restano nitidi. Questo costruisce per gradi l'immagine completa di ciò che stiamo dicendo.

Quando stiamo parlando, i concetti successivi sono fuori fuoco, ma non sono nel buio completo, perché stiamo parlando di cose che conosciamo. Il nostro lavoro è mettere a fuoco un punto dopo l'altro di questa immagine fotografica che è viva, come una sequenza di fotografie.

La sicurezza nel parlare è nel presente.

La sicurezza si genera quando quando smettiamo di preoccuparci, cioè occuparci prima di ciò che al momento non ci serve. Il vero lavoro è pensare alla cosa che stai dicendo nell'esatto momento in cui la stai dicendo, evitando di pensare a cosa dirai dopo.

Se ti focalizzi sul concetto e sulle persone presenti, e magari ti dimentichi quello che avresti voluto dire, con tutta probabilità significa che sei stato presente nel presente. Hai detto, cioè solo le cose che sentivi necessarie con queste persone in questo esatto momento. Questa è la ragione per cui ogni presentazione dovrebbe cambiare non solo nel tempo, ma anche in funzione del luogo e delle persone reali che si presentano di appuntamento in appuntamento.

Se dimentichiamo qualcosa che in seguito, tuttavia ritieni che sarebbe stato necessario dire, possiamo recuperarla e comunicarla successivamente. Mantenere un contatto con le persone ci permette di produrre un follow-up e dare continuità alla comunicazione, stimolando l'interazione. Per esempio, possiamo mandare un'e-mail di integrazione. Questo tiene caldo il contatto. Vien quasi voglia di dimenticare apposta di dire certe cose.

I concetti messi a fuoco possono essere visti come i puntini numerati della settimana enigmistica: li numeri in sequenza in quel momento, in base al presente e a ciò che interessa alle persone che ti stanno ascoltando.

Lo strumento pratico per parlare con sicurezza: la pausa.

Il vero obiettivo della comunicazione non è dire tutto, o dirlo bene o bello, ma dire ciò che serve alle persone presenti perché possano capire il messaggio.

Lo strumento pratico per riprendere il focus è la pausa.

[Ti spiego questo esercizio pratico in video qui.]

Ti consiglio di fare un esercizio: racconta un aneddoto (in 1 o 2 minuti) e rimani in focus su ogni passaggio. Ecco come fare:

  1. quando descrivi cose o azioni guarda l'immagine che si sta creando nella tua mente;

  2. per ogni cosa che vedi nella tua mente, fai una pausa lunga e silenziosa;

  3. durante questa pausa, non guardare ciò che dirai dopo, ma riguarda ciò che è nitido, cioè i concetti che hai appena espresso;

  4. sentirai che i concetti successivi arrivano in modo naturale.

Questo lavoro di focus ti porta a vedere le tue immagini mentali e a concentrarti solo su queste. In una presentazione, le immagini del racconto sono sostituite dalle immagini dei concetti. Se stai parlando del problema che vuoi affrontare, guarda l'immagine del problema. Se il problema si compone di più passaggi, ogni passaggio è una immagine. Il lavoro consiste nel mettere a fuoco ciascuna di queste immagini con calma, progressivamente, creando una nitidezza passo dopo passo.

Ciò che importa è sapere con chiarezza, dove vuoi arrivare con il tuo messaggio. Chiamiamo questo dove "idea centrale" o "messaggio chiave" o tesi. Ne ho parlato qui.

Buona pratica.


Chi è Stefano Todeschi

Sono consulente e formatore specializzato in public speaking pratico. Lavoro con imprenditori, manager e professionisti appassionati che vogliono saper coinvolgere clienti e collaboratori durante presentazioni, incontri e meeting aziendali.

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26. Comunicazione efficace: la voce autorevole non si imposta, si allinea.

Come valutare in tempo reale l'efficacia della tua comunicazione per assicurare che chi ti ascolta comprenda davvero il messaggio.

Quando dobbiamo comunicare decisioni difficili o ci troviamo in trattative cruciali, chi ascolta può percepire un'interferenza, uno stridore, tra le parole del messaggio e la nostra espressività. È una minaccia della fiducia e della nostra autorevolezza.

Spesso cerchiamo soluzioni esterne e tecniche come per esempio, lo studio della dizione, che però mascherano l'origine del problema, concentrandoti sulla performance anziché sul messaggio. Qui vediamo come facilitare la comprensione del messaggio costruendo coerenza fra ciò che stai dicendo e il tuo pensiero sulle cose che dici.

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Lo scopo è comunicare in modo efficace, ovvero facilitare la comprensione del messaggio. Oggi vediamo come costruire coerenza fra come dici le cose e il tuo pensiero sulle cose che stai dicendo. La coerenza è la base per la comprensione.

Il problema delle soluzioni tecniche (ad ogni costo).

Istintivamente, pensiamo che il problema sia la voce e cerchi soluzioni esterne e tecniche. Magari ci dicono: devi parlare con il diaframma (il che è una ridondanza, dato che respiriamo sempre usandolo), devi imparare la dizione per essere autorevole, o devi usare un tono di voce basso per sembrare più sicuro. Queste esortazioni non sono totalmente sbagliate, ma rischiano di diventare fuorvianti.

La dizione perfetta, per esempio, non è essenziale; rifletti sul fatto che la maggior parte delle persone di successo (vedi YouTube o i social) non ha una dizione impeccabile. Piuttosto sarebbe più opportuno parlare di dizione utile.

Quando parlo di dizione utile intendo che il messaggio sia facile da comprendere. Concentrarsi sull'usare un tono di voce basso per sembrare più sicuro è pura finzione. Finisci per recitare, concentrandoti sulla performance anziché sul messaggio o sull'interlocutore che ti deve ascoltare. Dobbiamo evitare di cadere nel prestazionalismo, che è solo stressogeno per noi.

Pensa all'interferenza che disturba l'ascolto della radio: alzare il volume non serve. Il problema non è nell'amplificatore, ma a monte, nel segnale. Nella comunicazione, quell'interferenza è l'incongruenza fra ciò che pensi e ciò che dici. La voce autorevole – intesa come voce fisica, ma anche come pensiero, concetti e idee – non si costruisce con la pura tecnica, ma è la conseguenza della coerenza tra ciò che pensiamo e ciò che stiamo dicendo.

Incongruenza tra mente e corpo.

Ti porto l'esempio di una manager che ho seguito, Giulia. Mi diceva che la sua autorevolezza svaniva quando comunicava decisioni importanti perché il team la percepiva nervosa e agitata.

Durante la nostra sessione, le ho chiesto di comunicare una nuova procedura. Il problema è apparso subito evidente: la voce tesa, il ritmo spezzato, come se scattasse continuamente. Le mani, un sintomo molto utile, si muovevano rapidamente, sottolineando ogni accento tonico con gesti secchi. Il suo corpo comunicava ansia e insicurezza, per certi versi anche una certa di aggressività. L'aggressività è spesso una maschera per l'insicurezza, la reazione di chi si sente braccato e non può fuggire.

Le parole di Giulia dicevano: "Questa è la nuova procedura", ma la sua espressività urlava: "Speriamo che vada tutto bene". Questa incongruenza totale era l'interferenza fra il suo pensiero e la sua comunicazione.

Trovare la coerenza: l'esercizio della piscina.

Ho chiesto a Giulia di ripetere l'intervento, modificando un parametro. Le ho detto di immaginare di essere immersa fino alle spalle nell'acqua (in piscina o al mare) e di muovere le braccia con dolcezza e lentamente, vincendo l'attrito dell'acqua.

Nonostante una certa rigidità iniziale (il tentativo di dare la prestazione), il movimento fluido l'ha costretta a rallentare. Il respiro si è fatto più profondo e pulito, e la voce ha seguito questo fluire. La voce è diventata più morbida e il tono più basso, non per uno sforzo tecnico, ma come effetto di un atteggiamento diverso. Giulia mi ha detto di sentirsi più calma, ma anche più in potere.

Quando sentiamo coerenza fra ciò che diciamo e ciò che pensiamo, sentiamo un maggiore potere, inteso come possibilità. La sua vera autorevolezza è emersa trovando questa coerenza. Calmando il corpo, ha calmato la mente e la voce.

Esercizi pratici per l'allineamento di mente ed espressività del corpo.

Ti propongo due esercizi per fare pratica:

  1. Corpo e contenuto (karate vs. acqua).

    Scegli un contenuto forte (un ordine o un consiglio importante che vuoi dare a aqualcuno).

    • Fase 1 (karate): dillo dando colpi secchi e veloci con la mano, come colpi di karate. Senti come la voce si trasforma, diventando dura, ritmata, quasi aggressiva. Questa espressività può servirti per dare un consiglio finale, chiaro e memorabile, ma devi esserne consapevole. Se ne sei consapevole, non c'è il rischio di aggressività, ma il desiderio di sostenere chi ti ascolta.

    • Fase 2 (acqua): dì lo stesso messaggio (anche parafrasando) muovendo le braccia lentamente, come se fossi immerso nell'acqua di una piscina. Sentirai come la voce segue questo fluire morbido, ammorbidendosi. Il corpo rallenta, il tono può abbassarsi, e potresti notare anche un cambiamento nel lessico. Questo ti mostra come dimensione corporea, parole, lessico e pensieri costituiscano un sistema unico.

  2. Intenzione e tecnica.

    Registra un breve audio di un minuto in due fasi.

    • Fase 1 (pura forma): sforzati di parlare bene. Concentrati sul tono, il ritmo e una dizione perfetta. Prova!

    • Fase 2 (intenzione): ora, invece, ignora completamente la forma.
      Concentrati solo su tre o quattro parole chiave che devono arrivare a chi ascolta. Evidenziale mentalmente, come con un pennarello evidenziatore immaginario.

      Riascoltando, sentirai che il secondo audio è più autentico e autorevole perché hai lavorato sull'intenzione, che ha preso il posto della tecnica. Non devi focalizzarti sul giudicare la forma, ma sulla coerenza tra ciò che dici e il pensiero che hai su ciò che stai dicendo.

La voce è l'eco di tutto ciò che senti in te mentre parli. (vedi Come capire se stai comunicando bene. La prova del 9 della tua comunicazione > LINK)

Alle persone interessa capire il messaggio per valutare se è utile, non la nostra forma ossessivamente perfetta.

L'autorevolezza nasce quando corpo, pensiero e parole puntano nella stessa identica direzione.

È solo quando raggiungiamo questa integrazione che finalmente stiamo comunicando.

Buona pratica.

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25. Come capire se stai comunicando bene. La prova del 9 della tua comunicazione.

Come valutare in tempo reale l'efficacia della tua comunicazione per assicurare che chi ti ascolta comprenda davvero il messaggio.

Come valutare in tempo reale l'efficacia della tua comunicazione, dato che il feedback del pubblico arriva spesso solo quando l'intervento è finito?

Esiste un modo immediato e preciso per valutare la congruenza della tua comunicazione e assicurare che chi ti ascolta comprenda davvero il messaggio, e accade mentre stai parlando.

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Di solito, la domanda "Come faccio a capire se sto comunicando bene?" trova risposta nella reazione di chi ci ascolta: se annuiscono o se si ottiene il risultato voluto. Ma questo feedback arriva quando la comunicazione è già finita.

Esiste un modo più immediato e preciso per capirlo, e avviene esattamente mentre stai parlando. La vera prova del nove non è negli occhi di chi ascolta, ma nelle tue percezioni: la sensazione che provi mentre parli è la misura immediata della tua efficacia. Non devi neanche ragionare, lo senti subito. Vediamo come usare bene queste auto percezioni.

L'Assioma Zero della comunicazione e la congruenza

Prima di arrivare al pubblico, il messaggio parte da te. Qui introduco quello che io chiamo l'Assioma Zero della comunicazione:

Quando parli, la prima persona che ti ascolta sei tu, tu stesso, tu stessa. Sei il primo soggetto a entrare in relazione con la tua comunicazione.

Questo significa che c'è sempre una doppia conversazione in corso: quella con gli ascoltatori e quella che hai con te stesso. Le sensazioni che produci in te stesso ti condizionano. Se non sei convinto di ciò che dici, la voce, il corpo, la postura e lo sguardo te lo fanno sentire immediatamente, generando insicurezza, rigidità o vuoto. Se ignori queste sensazioni, l'insicurezza cresce in un circolo vizioso: più ti senti incongruente, più comunichi male.

L'efficacia si basa sul principio di congruenza: ciò che stai dicendo deve essere congruente con le tue intenzioni e con ciò che pensi o senti realmente sull'oggetto della comunicazione. Se manca questa congruenza, si innesca una frizione interna che rende la tua espressività inefficace. Come se stessi dicendo agli ascoltatori: "Ti sto dicendo delle cose, ma non crederci".

Se non sei un attore professionista, che sa fingere, è necessario che tu ti senta congruente con quello che pensi mentre parli.

Quando, invece, senti congruenza — quando ciò che dici suona vero e necessario — il tono si stabilizza, il corpo si apre e la voce si riempie. In quel momento, stai vivendo un'esperienza di autorevolezza, diventando autore di ciò che dici. Questo genera un circolo virtuoso di fiducia in te stesso, che transita al pubblico.

Esercizio pratico: imparare ad ascoltarti

Le sensazioni sono immediate e precognitive, ma l'ascolto ragionato di sé richiede attenzione e allenamento.

Per raggiungere la consapevolezza iniziale, ti propongo un semplice esperimento:

  1. Scegli un argomento che ti mette alla prova o che è nuovo, come un nuovo prodotto o progetto.

  2. Registra con lo smartphone e parla a ruota libera per 2-5 minuti, senza appunti.

  3. Riascolta senza giudizio, con solo curiosità (cura di sé).

  4. Nota i sintomi: non guardare la qualità della voce, ma nota i punti in cui si irrigidisce, cala il volume, si spezza o ci sono esitazioni. Oppure nota i momenti in cui la voce si apre e senti forza.

Tutto ciò che senti non è casuale: è il tuo corpo che ti restituisce la misura della tua congruenza tra ciò che dici e ciò che pensi/senti. Solo dopo aver imparato ad ascoltarti "da fuori", potrai farlo "in diretta" — espresso — mentre interagisci realmente.

Le 3 mosse per capire l'efficacia della tua comunicazione.

Quando senti subito se sei incongruente, hai due opzioni: o vai avanti accelerando e aggiungendo parole (soffocando il messaggio), oppure ti fermi. Fermarsi è l'opzione più controintuitiva ma necessaria: riprendi il tuo stato psicofisico.

Per applicare la prova del nove della comunicazione in pratica, segui queste tre mosse:

  1. Ascoltati (osservazione): durante la comunicazione, nota il tono, il ritmo, il respiro, la postura (se ti chiudi, se stai correndo). Questo ascolto è osservazione senza giudizio, che raccoglie dati.

  2. Nomina la sensazione: dai un nome a ciò che senti: "Mi sento convinto", "Mi sento esitante", "Mi sento vero". Nominala per renderla visibile e darle un significato. Ricollega il nome ai dati oggettivi che hai osservato (postura, tempi, ecc., non solo voce).

  3. Indaga la buona ragione: se senti una non congruenza, chiediti il perché. Ci deve essere una ragione sufficiente: forse non credi davvero a ciò che dici, l'argomento non lo senti tuo, lo strumento che stai usando non ti convince, o non ti senti pronto. Oppure che altro?

Riconoscere queste ragioni è il punto di partenza necessario per evitare di continuare a parlare "facendo finta di nulla". Le buone sensazioni (calma, chiarezza, energia) sono il primo segnale che stai comunicando convinto di ciò che dici. Le persone hanno bisogno di relatori convinti.

Sperimenta subito.

Le sensazioni fisiche sono sintomi che riflettono la tua congruenza. Non servono mantra autopersuasivi che rischierebbero solo di creare altra incongruenza. Si tratta invece di indagare su te stesso.

Sperimenta subito: registra un tuo intervento e analizza le sensazioni, poi allenati a farlo in diretta. Se percepisci una non congruenza, non forzare. Fermati, respira, riformula rallentando, oppure dichiara ciò che davvero pensi. In quel momento, scoprirai che stai costruendo una fiducia in te stesso reale, basata sulla congruenza fra ciò che dici e ciò che pensi.

Buona pratica.

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24. Come rispondere alle domande senza ansia, con autorevolezza.

Come gestire interviste formali e informali, smontando il meccanismo della preparazione ossessiva. L'obiettivo è cambiare prospettiva: trasformare ogni domanda da minaccia a opportunità, rendendo la tua comunicazione più incisiva e naturale.

Tendiamo a prepararci eccessivamente per interviste e domande, temendo il giudizio di chi ci ascolta. Questa ansia da preparazione ci rende paradossalmente meno efficaci.

In questo episodio analizziamo come gestire interviste formali e informali, smontando il meccanismo della preparazione ossessiva. L'obiettivo è cambiare prospettiva: trasformare ogni domanda da minaccia a opportunità, rendendo la tua comunicazione più incisiva e naturale.

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Ogni imprenditore, manager o professionista quotidianamente risponde a domande. Siamo tutti soggetti a interviste nelle quali ci prendiamo responsabilità delle cose che diremo. Il problema comune è la tendenza a dedicare ore alla preparazione. Immagini tutte le possibili domande e studi le risposte perfette, spinto dall'ansia da prestazione e dalla paura di fare scena muta in una società che sembra costantemente metterci sotto esame.

Questo sforzo immane, benché nato dalle migliori intenzioni, in realtà si rivela una trappola che ti rende meno efficace e ti affatica, distraendoti dal centrare la domanda reale.

La vera strategia è radicale: per rispondere con autorevolezza, non devi prepararti di più, ma prepararti di meno e imparare ad ascoltare meglio. Vediamo come.

Ti fanno domande, perché ti hanno già riconosciuto autorevole.

Riceviamo domande in due tipi di interviste:

  1. interviste formali: in radio, televisione, con un giornalista, podcaster o un blogger, ad esempio.

  2. interviste informali: con clienti, colleghi e collaboratori.

In entrambe le situazioni, ti vengono poste domande perché sei riconosciuto come persona autorevole ed esperta, capace di fornire risposte interessanti.

Proprio per questo, diversamente da quello che possiamo pensare, ogni volta che sei intervistato, non ti trovi in una sorta di esami.

Di fatto la persona che ti intervista non è un esaminatore che conosce già la risposta, ma qualcuno che vuole sapere cose da te.

Perciò, se ascoltiamo gli altri solo pensando a cosa dire per fare bella figura, rischiamo di arrivare sfiniti e di ripetere concetti già espressi, annoiando chi ascolta.

Dobbiamo trasformare la fatica della preparazione in leggerezza, applicando il principio imprenditoriale della minima spesa, massima resa. La massima resa nella comunicazione si ottiene quando chi ascolta riesce a capire senza sforzo.

La soluzione per la minima spesa energetica è smettere di andare a caccia di argomenti, usando invece solo gli ingredienti che l'interlocutore ti offre su un piatto d'argento. La domanda stessa è una "dispensa" o un "frigorifero" pieno di ingredienti pronti per essere cucinati.

Le due fasi per rispondere alle domande nelle interviste formali e informali.

1. Ascolta in modo completo (apri la dispensa). Durante questa fase, la tua priorità è ignorare te stesso, i tuoi pensieri, le tue ansie e le risposte che ti frullano in testa. Devi focalizzarti al 100% sull'interlocutore in un ascolto attivo, chirurgico e, soprattutto, completo.

Prendi appunti (mentali o su un foglio, se il contesto lo permette) annotando solo le parole chiave o i concetti che ti colpiscono. Questi sono i tuoi ingredienti; tutto il resto non conta. Consiglio pratico: le parole che colpiscono di più spesso sono pronunciati con un'espressività diversa dalle altre.

2. Cucinare il piatto (rispondi). Una volta che hai gli ingredienti, sei pronto per cucinare, sei pronto per iniziare a rispondere.

La regola fondamentale è: parti da uno degli ingredienti.

Inizia la tua risposta usando una delle esatte parole che hai sentito e annotato. Usa le parole dell'intervistatore per inquadrare e spiegare lo stato dell'arte della situazione o la problematica. Puoi fare anche una sintesi della domanda, richiamando i concetti che richiede principali. Questo potrebbe sembrare una ripetizione inutile. In realtà, si tratta di un inquadramento chiaro che comunica a chi ha posto la domanda "siamo sulla stessa pagina". Un altro risultato è sul pubblico che ascolta: si rende conto che stai davvero rispondendo alla domanda. Questo lo tranquillizza, mi facilita l'ascolto e la comprensione.

Solo dopo aver creato questa base comune, inserisci la tua prospettiva e la tua esperienza.

Ecco il passaggio chiave, che purtroppo molte persone ignorano o temono addirittura: usare immediatamente ad alta voce le parole dell'interlocutore innesca automaticamente il processo cognitivo della tua risposta, aiutandoti a ripescare i concetti che ti sono propri. Con lo scopo di metterli in diretta, connessione con gli ingredienti che ti sono stati consegnati. E chi te li ha consegnati si sentirà chiaramente ascoltato.

Ogni domanda, in questi casi, non è un esame, ma un regalo. Perciò, d'ora in poi puoi smettere di spendere ore a preparare risposte. Il mio consiglio è di cominciare a usare quel tempo per allenare il tuo ascolto. Gli ingredienti per la tua autorevolezza sono già lì, nel frigorifero.

Buona pratica.

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23. Perché parliamo in pubblico.

Attraverso esercizi pratici puoi trasformare l'ansia di parlare in pubblico in consapevolezza, sviluppando un modo di comunicare autentico e autorevole che nasce, non da schemi rigidi, ma dalla tua unicità. Questo processo ti permette di chiarire il tuo pensiero, ridurre la fatica e creare una comunicazione più efficace e leggera.

Parlare in pubblico serve a fare una performance perfetta? Sarebbe solo fonte di stress, se fosse così.

La bellezza del parlare in pubblico sta nello scoprire chi sei e cosa pensi davvero.

Attraverso esercizi pratici puoi trasformare l'ansia in consapevolezza, sviluppando un modo di comunicare autentico e autorevole che nasce, non da schemi rigidi, ma dalla tua unicità. Questo processo ti permette di chiarire il tuo pensiero, ridurre la fatica e creare una comunicazione più efficace e leggera.

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Prima di un intervento importante o di un'interazione con altre persone, molti provano una sensazione di peso sullo stomaco, la paura di bloccarsi o di non essere all'altezza. È ansia da prestazione.

L'Assioma Zero della comunicazione.

Spesso, cerchiamo di combatterla controllando ogni aspetto del discorso – i gesti, la voce, tutto schematizzato e pre definito… – trasformando la comunicazione in una fatica sanguinosa.

Oggi, ti propongo di cambiare completamente approccio: smettere di combattere contro te stesso e concentrarti sui benefici diretti che puoi ottenere quando parliamo e interagiamo. Spesso ignoriamo questi vantaggi personali perché siamo troppo concentrati sulla performance, sul fare bella figura, sul dimostrare di essere bravi e di saperla lunga. Una questione culturale che dobbiamo scardinare.

Il punto è vivere ogni interazione non per dimostrare qualcosa agli altri, ma per comprendere di più e meglio qualcosa di noi stessi.

È questo che ci prepara all'interazione con gli altri, sia umanamente sia professionalmente. Ci permette di trasformare l'ansia in consapevolezza, e questa consapevolezza si trasmette a chi ci ascolta, che potrà percepire la nostra autorevolezza. Autorevole è chi è autore di ciò che dice.

Gli assiomi della comunicazione sono cinque secondo lo psicologo Paul Watzlawick. Ma ve n’è un sesto che li precede tutti. Io lo chiamo l'assioma numero Zero. Perché se è vero che gli assiomi di Watzlawick sulla comunicazione hanno a che vedere con la relazione, quando apriamo bocca per comunicare ad almeno una persona la prima relazione che instauriamo è con noi stessi.

L’Assioma Zero della comunicazione: quando parli, la prima persona che ti ascolta sei tu.

Te ne accorgi quando parli e senti di non essere convinto di ciò che dici, o lo dici in modo debole, magari incespicando. Questo ti può affaticare e farti sentire sempre più insicuro. Vale anche il contrario: quando senti che stai facendo una bella presentazione o una buona interazione, ti senti galvanizzato, pieno di energia positiva.

Parlare in pubblico significa uscire dalla sfera privata ed esternare i tuoi contenuti e pensieri ad almeno un'altra persona.

Questo accade sia nelle presentazioni o discorsi preorganizzati (per un prodotto, un servizio, un discorso motivazionale), sia nelle interazioni più imprevedibili, dove possono arrivare domande o obiezioni inaspettate. Esistono anche situazioni ibride, come sessioni di domande e risposte dopo una presentazione o presentazioni improvvisate durante una riunione. In ogni caso, non sei più nella sfera privata.

A cosa serve parlare in pubblico.

L'azione del parlare in pubblico ti offre 4 opportunità principali:

  1. Sviluppare la tua originalità e autenticità: diventi l'origine delle tue parole, che nascono dalla tua esperienza di vita e professionale, non solo dai titoli o dai ruoli che ricopri.

  2. Ridurre la fatica e semplificare la comunicazione: sposti il focus dal parlare bene al farti capire. Le altre persone devono capire il tuo messaggio, e il loro apprezzamento sarà una eventuale conseguenza. Questo alleggerisce la pressione della performance, che è la vera fonte di ansia e fatica, e ti libera dal prestazionalismo, il vizio di voler dare una bella prestazione per dimostrare la propria bravura.

  3. Organizzare e chiarire il tuo pensiero a te stesso: l'atto di esprimere le tue idee ad alta voce, una per volta e in relazione tra loro, ti permette di ricontare i tuoi pensieri e scoprire cosa pensi davvero, anche a un livello più profondo. Chi ha: sei la prima persona che si ascolta in ogni momento, dalla ricerca delle idee per una presentazione, alla strutturazione della presentazione stessa, fino al momento in cui darai la presentazione davanti al tuo pubblico. Ma lo stesso vale nelle interazioni espresso, quelle che avvengono lì per lì e che non erano previste.

  4. Superare l'ansia e il senso di incertezza: parlare in pubblico ti offre allenamento e consapevolezza di te nella situazione reale, con persone reali. Più lo fai, più raggiungi chiarezza sulla tua presenza fisica e mentale. La prima persona che ti ascolta quando parli, sei tu: significa che non solo ti alleni nella pratica del fare, ma anche nella pratica del meglio comprenderti e ascoltarti mentre fai.

Spesso, quando cerchiamo un metodo per comunicare, ci affidiamo a schemi che sembrano semplificarci la vita, come i giochi per bambini dove si inseriscono formine colorate nei buchi giusti. Tuttavia, il problema non sono gli schemi in sé, ma la loro applicazione rigida e schematica. Ridurre la preparazione a un semplice riempire gli spazi vuoti rischia di sterilizzare la tua idea, per quanto complessa e coinvolgente possa essere. La tua idea non è una semplice formina: costringerla in uno schema può snaturarla.

Il vero problema è conformare il tuo pensiero allo schema. Se lo fai, rischi di non riconoscerti più in ciò che dici, e questo peggiora le cose sul piano dell'ansia, incrementando il disagio.

La comunicazione efficace non nasce dal trovare lo schema perfetto in cui inserire le tue idee, ma dal capire qual è la tua forma, la tua voce unica. Da lì puoi costruire un modo di esprimerti che ti assomigli, partendo da ciò che hai.

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Il punto chiave di tutto è che noi parliamo in pubblico non solo per comunicare idee, ma anche per scoprire chi siamo e cosa pensiamo davvero. Questa filosofia si traduce in pratica attraverso esercizi concreti.

Esercizi pratici per parlare in pubblico.

Ti propongo due esercizi pratici che ho visto funzionare nelle mie formazioni individuali e aziendali, capaci di trasformare la preparazione in un laboratorio di consapevolezza personale.

1. La scoperta in attesa. Esegui da solo. Registrati per un paio di minuti mentre parli di un tema che ti sta a cuore (la prossima presentazione, una risposta a una domanda tipica).

Poi riascoltati. L'obiettivo non è darti un voto, ma andare a caccia di sorprese. Trascrivi due o tre momenti che ti hanno sorpreso: un lapsus, un'inflessione strana della voce, un'esitazione improvvisa, un incremento o decremento di energia. Poi, poniti domande come queste:

  • Cosa stavo pensando davvero in quel momento?

  • Cosa c'era sotto quella parola, quell'esitazione, quell'energia diversa?

Spesso è proprio nell'inatteso, nell'errore (inteso come errare, prendere una strada diversa) che si nasconde il tuo pensiero più autentico, quello non filtrato dal controllo e non eccessivamente razionalizzato.

2. La domanda dell'altro. Esegui da solo. Prendi uno dei tuoi contenuti chiave e esponilo per un minuto ad alta voce. Poi fermati e immagina di essere uno dei tuoi interlocutori più difficili (un cliente scettico, un collaboratore critico). Può aiutarti la visualizzazione di una persona.

A questo punto, formula ad alta voce l'obiezione più tosta che questa persona potrebbe farti, magari una che hai già sentito o che temi di più, (non una domanda comoda).

Infine, rispondi con calma a quell'obiezione, smontandola parola per parola e connettendo la risposta a ciò che avevi appena detto. Questo esercizio è potentissimo perché ti costringe a uscire dal tuo punto di vista e a guardare il tuo pensiero con gli occhi degli altri, scoprendo punti deboli o premesse date per scontate. Non stai preparando una difesa, ma rendendo il tuo pensiero più solido e autentico. Nelle formazioni individuali, smontiamo ogni osservazione con domande cardine, come “Cosa sto dando per scontato?” o “È proprio così?”

Che senso ha la pratica per parlare in pubblico

Fare questi esercizi non serve a costruire il discorso perfetto, che peraltro non esiste e richiede una fatica immane. Serve piuttosto a liberarti dalla trappola del discorso perfetto, a ridurre la fatica e a smettere di voler recitare una parte o la migliore versione di te stesso (quale sarebbe?). Ti permette di iniziare a parlare dalla tua esperienza, rendendo la comunicazione più semplice e leggera.

Servono a rispondere a una domanda fondamentale: “Perché proprio io posso dire queste cose?”

Questo è il passaggio dal devo al posso, scoprendo la tua unicità come persona e professionista. Se tu la pensi così devi conoscere te stesso a fondo per capire come la tua unicità può fare la differenza per le persone che potranno ascoltarti.

Quando rispondi a queste domande, smetti di cercare la formina giusta per il buco giusto e di voler performare. Inizi a conoscere la tua forma autentica, il tuo poliedro originale. La tua comunicazione diventa una conseguenza naturale di chi sei. Diventi autentico, cioè autore, e non c'è niente di più autorevole di questo.

Il repertorio non è una collezione di discorsi imparati a memoria, perché ogni pubblico e ambiente cambia tutto. Il repertorio è l'insieme dei tuoi pensieri, delle tue idee, non il modo di dirle (che cambierà in base a contesto e persone di fatto presenti al momento).

Ricorda: la prossima volta che parli, non stai dando una prestazione, stai facendo un'esperienza di te.

Buona pratica.

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Stefano Todeschi Stefano Todeschi

22. La base per strutturare una presentazione o un discorso

La base per strutturare una presentazione è una singola idea centrale (tesi), chiara e semplice, che incarna il tuo sguardo unico sull'argomento. Non si tratta solo di informare o esporre un problema, ma della tua specifica proposta o visione per renderla indimenticabile al tuo pubblico.

La base per strutturare una presentazione è una singola idea centrale (tesi), chiara e semplice, che incarna il tuo sguardo unico sull'argomento. Non si tratta solo di informare o esporre un problema, ma della tua specifica proposta o visione per renderla indimenticabile al tuo pubblico.

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Quando comunichi le persone non ti stanno mettendo sotto esame. Quando comunichiamo le persone desiderano capire ciò che stiamo dicendo.

Il vero obiettivo è far sì che chi ti ascolta capisca la tua idea. La tua idea dovrebbe essere unica, proprio come unico è il tuo sguardo professionale. Vediamo.

La tesi: l'idea centrale e lo sguardo personale

La tesi è l'idea più importante che vuoi che le persone si ricordino della tua presentazione. Deve essere semplice e guidarti in ogni momento. È il punto di fuga verso cui convergono tutte le linee del tuo discorso. Senza una tesi chiara, le persone non capiranno dove vuoi andare a parare.

Spesso, molte persone pensano che la tesi sia "far capire come stanno le cose". Questo, però, è al massimo formazione o insegnamento, una lezione. Se il tuo intento è solo spiegare il funzionamento tecnico dell'intelligenza artificiale, ad esempio, rischi di risultare un divulgatore intercambiabile. Il rischio è che tu diventi una "commodity", un docente come un altro.

La vera differenza la fa il tuo sguardo.

  • Il punto di vista è legato al ruolo o ai titoli (un avvocato ha il punto di vista legale, un commercialista quello contabile, e sono tecnicamente intercambiabili).

  • Lo sguardo, invece, è molto più profondo: c'è la persona, la sua esperienza di vita, le sue visioni del mondo e del settore professionale. È la ragione per cui preferiamo un medico o un avvocato rispetto a un altro, anche se hanno le stesse qualifiche. È ciò che rende la tua idea unica, anche se il tema è simile a quello di altri.

Una tesi, quindi, non è un dato di fatto ("se piove mi bagno" o "se crescono le commesse dobbiamo assumere nuovo personale"). Una vera tesi esce dalla norma e propone uno sguardo nuovo, ad esempio: "se crescono le commesse, dobbiamo assumere nuovo personale, purché condivida la nostra mission". Oppure: "se crescono le commesse dobbiamo assumere nuovo personale purché dotato di autonomia di giudizio, anche se non condivide la nostra mission”.

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L'unicità della tesi

Un errore comune è pensare di avere più tesi o messaggi centrali. La tesi (o idea centrale) deve essere unica: su di essa ruota tutto. Tutte le altre idee sono satelliti di questa idea centrale. Questo semplifica l'ascolto a chi ascolta.

Possiamo distinguere due macro tipologie di tesi:

  1. Tesi informative: mirano a comunicare nuove informazioni o a sfatare credenze consolidate. Un esempio è "le zanzare non sono attratte primariamente dalla luce, ma dagli odori degli umani". Qui il focus è convincere sul risultato delle nuove ricerche scientifiche, sfatando ciò che la scienza stessa pensava prima di oggi.

  2. Tesi persuasive: l'obiettivo è portare le persone ad apprezzare la tua idea (il tuo sguardo) e a compiere un'azione. La forma più semplice è "per ottenere X, fai Y" o "se fai Y, allora ottieni X". Esempi includono convincere all'acquisto, ad assumere comportamenti specifici (come nei TED Talk o discorsi motivazionali). Qui lo speaker dimostra che la propria idea è superiore grazie al suo sguardo unico.

Come trovare ed esprimere la tua tesi

Il mio consiglio più pratico è di esprimere la tua tesi prima di tutto a te stesso. Fallo in poche parole, in modo semplice e chiaro, senza argomentazioni. L'ideale è 10-15 parole massimo. So che non è facile.

A volte, questa idea centrale non è chiara fin dall'inizio. Non preoccuparti, è normale. In quel caso, suggerisco di compiere un lavoro di ricerca delle idee, di provare l'intervento ad alta voce e prendere appunti per capire quale idea guidi tutte le altre. Se ci sono più "centri di gravità", il rischio è confondere chi ascolta.

Buona pratica.

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Stefano Todeschi Stefano Todeschi

21. Comunicare bene le azioni da fare (in riunioni e presentazioni)

La comunicazione professionale deve sempre tradursi in azioni concrete, che vanno comunicate con chiarezza. Vediamo come fare.

La comunicazione professionale deve sempre tradursi in azioni concrete, che vanno comunicate con chiarezza. È fondamentale che queste azioni siano 1) precise (quando, dove, come), 2) pulite (senza ripetizioni o parafrasi) e 3) che definiscano inequivocabilmente la responsabilità di chi le deve compiere per garantirne l'effettiva realizzazione. Vediamo come fare.

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Ogni volta che comunichiamo, l'aspettativa è chiara: vogliamo che accadano delle cose. Ci attendiamo che le persone prendano decisioni o assumano comportamenti coerenti con i nostri desideri e con il contesto professionale. Comunicare solo per esprimere se stessi, senza tradurlo in azioni concrete, non è utile nella nostra attività.

Ecco una sintesi della puntata del podcast, ma ti consiglio di ascoltarlo, ti aiuterà a ragionare e riflettere sulla tua situazione.

Il mio sistema R.O.R.A. (Referente, Obiettivo, Relazione, Azione) pone l'azione come il risultato finale concreto a cui miriamo con la nostra comunicazione. L'Azione è supportata da buone Ragioni, un Obiettivo definito e la Relazione con chi ci ascolta.

> qui ti spiego tutto il sistema R.O.R.A.

1. 2 macro ambiti della comunicazione con persone (il public speaking)

Questo vale in due macro ambiti fondamentali che distinguo sempre quando parlo di comunicazione:

  • le presentazioni: qui rientrano le presentazioni con PowerPoint, i discorsi, le presentazioni pubbliche e le lezioni per formazioni. Abbiamo spesso un contenuto preparato con l'obiettivo di guidare il pubblico verso specifiche azioni, come ad esempio scaricare un PDF o acquistare una proposta commerciale;

  • le interazioni: si tratta di momenti in cui non c'è un discorso preparato, ma improvvisiamo, reagendo o agendo in base a ciò che accade nel dialogo con le persone. Anche qui l'obiettivo finale sono azioni concrete che l’interlocutore dovrebbe poter compiere.

In entrambi questi ambiti, il focus sulle azioni è vitale.

2. Fare riunioni finalizzate alle azioni da compiere.

Quando comunichiamo queste azioni, dobbiamo considerare il contesto. Se ragioniamo su come funzionano riunioni e meeting aziendali, capiamo meglio l'importanza della chiarezza sulle azioni perché ci sta ascoltando. Ciò che riguarda le riunioni può essere poi utile anche per presentazioni, talk e discorsi.

Distinguo due tipologie principali di riunioni:

  • Riunioni (o fasi) esplorative, dove analizziamo un problema, cercando il parere e l'opinione dei partecipanti. Le azioni da compiere non sono pre-decise, ma emergeranno dall'esplorazione. Nelle presentazioni, nei talk nei discorsi, questo si traduce nel permettere al pubblico di riflettere e ragionare sulla propria esperienza personale grazie alle nostre parole.

  • Riunioni (o fasi) informative, dove l'obiettivo è informare su qualcosa e indicare le azioni che devono essere compiute (ad esempio, per conformarsi a una normativa). Le azioni sono già confezionate. Nelle presentazioni, nei talk nei discorsi l'intento informativo è pervasivo. Ogni parte, anche quella che aiuta a ragionare e riflettere, da informazioni. Queste possono contemplare storie, dati, aneddoti, teorie o più in generale i concetti a supporto della nostra idea.

Attenzione a non mascherare una riunione informativa come esplorativa, chiedendo pareri quando le decisioni sono già state prese. Questo mina la fiducia e la disponibilità alla collaborazione.

Le azioni stesse, come suggerisce Brian Tracy, possono essere di 4 tipi:

  1. Cominciare a fare qualcosa.

  2. Smettere di fare qualcosa.

  3. Continuare a fare qualcosa aumentandone la frequenza.

  4. Continuare a fare qualcosa diminuendone la frequenza (utile quando non si può interrompere un'azione problematica immediatamente, ma si attende di sostituirla).

3. Come comunicare un'azione per aiutare chi ascolta a compierla.

Per comunicare efficacemente le azioni, ti consiglio di focalizzarti su 3 caratteristiche chiave:

  1. Precisione: l'azione deve essere descritta in modo puntuale specificando quando e dove deve essere compiuta, il perché (che è implicito nel referente e nell'obiettivo, ma utile da richiamare), e soprattutto il come, cioè la sequenza di passaggi.

  2. Pulizia: comunica l'azione una sola volta, in modo netto e semplice. Evita di ripetere la stessa azione con parafrasi o modi leggermente diversi, perché questo può generare confusione nel tuo interlocutore, che si chiederà se non ha capito o se stai solo ripetendo la stessa cosa (e perché mai tu lo stia facendo).

  3. Responsabilità: deve essere chiaro chi deve compiere l'azione. La responsabilità è fondamentale perché facilita la comprensione di cosa sarà successo nel caso in cui le azioni non vengano compiute. Un'azione o si compie o non si compie: "fatta male" significa "non fatta" o "fatta in altro modo".

In sintesi, niente giri di parole, dritto al punto.

Buona pratica.

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Stefano Todeschi Stefano Todeschi

20. Creare e gestire relazioni professionali migliori.

Come costruire relazioni professionali efficaci e autentiche. Il segreto sta nella capacità di trasformare l'interlocutore nel proprio miglior consulente. Lo scopo è ridurre la fatica per ottenere la migliore collaborazione professionale con clienti e collaboratori.

Come costruire relazioni professionali efficaci e autentiche. Il segreto sta nella capacità di trasformare l'interlocutore nel proprio miglior consulente. Lo scopo è ridurre la fatica per ottenere la migliore collaborazione professionale con clienti e collaboratori.

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Vediamo come impostare una relazione professionale efficace, basata su una sincera relazione umana, che ci permetta di ottenere risultati e la migliore collaborazione. Questa è la puntata numero 20 del podcast Public Speaking Pratico, la quarta di una serie dedicata al sistema RORA, te lo spigo qui.

Due esempi di frasi che possono compromettere la relazione professionale.

ESEMPIO 1

"Prima di dirvi che cosa penso, vorrei sapere cosa ne pensate voi."

  • Perché è un errore: questa frase, pur animata da buone intenzioni, condiziona subito le persone. L’interlocutore percepirà che la parte più importante è il pensiero di chi pronuncia la frase, rendendo la sua opinione subordinata al timore o al desiderio di compiacerlo.

  • Il problema è il condizionamento: nel caso si stia discutendo di un qualche errore o problema, se condizioniamo il pensiero dei nostri collaboratori o clienti, anche involontariamente, rischiamo che la prossima volta il problema si ripeta o si ingigantisca, perché non avremo capito la vera dinamica in modo puro.

  • La nostra opinione teniamola per noi, sin dall'inizio: ovviamente formuliamo ipotesi sui fatti che accadono, è naturale. Ma il vero lavoro è trasformare gli altri in consulenti. Significa raccogliere le loro informazioni, metterle a confronto le une con le altre per avere la possibilità di formulare un parere personale puro.

ESEMPIO 2

"Non sto cercando un colpevole, voglio che capiamo insieme che cosa è successo."

  • Perché è un errore: la prima parte della frase, "Non sto cercando un colpevole," solleva il dubbio che chi parla, in realtà, lo stia cercando. È una frase inutile, fuori luogo, a meno che qualcuno non abbia già paventato la ricerca di un colpevole.

  • Il "voglio": il verbo servile in questo caso asservisce l'opinione delle persone al volere di chi sta parlando. Le persone possono desiderare di compiacere questa persona anche involontariamente. Ci troviamo di fronte ad un atto di potere esplicitamente espresso.

  • La parte più opportuna è "capiamo insieme": l'obiettivo dovrebbe essere semplicemente "Capiamo insieme che cosa è successo". Focalizzarsi su questo è prioritario.

Come impostare una comunicazione efficace e una relazione sincera:

Il metodo RORA ci guida in quattro passaggi fondamentali:

  1. Le buone Ragioni / fatti: inizia sempre dallo stato dell'arte iniziale, dai fatti, dai dati incontrovertibili. Se una scadenza non è stata rispettata, parti da quello. Se i clienti si lamentano, parti da quella segnalazione. Se hai delle precisazioni, mettile qui, insieme ai fatti.

  2. L'Obiettivo: comunica chiaramente dove volete arrivare, qual è lo scopo generale. L'obiettivo è più astratto delle singole azioni. Ad esempio, "dobbiamo capire cosa non ha funzionato nel nostro meccanismo".

  3. La Relazione: è il cuore della comunicazione e di cui parliamo qui. In concreto si traduce in:

    • Trasforma l'interlocutore nel tuo miglior consulente: chiedi la loro reale opinione. Loro ti daranno informazioni vitali per esprimere il tuo parere, perché se avessi già tutte le risposte, sarebbe una presa in giro chiedere.

    • Relazione a pari livello umano: anche se i ruoli professionali vanno sempre tenuti ben presente (se tu sei il responsabile del progetto, per esempio, lo sei tu e non lo sono altre persone, che avranno altre responsabilità), la relazione umana ti mette allo stesso livello degli altri. Questo non significa essere amici, ma dare pari dignità alle persone sul piano umano.

    • Evita ogni condizionamento: non condizionare il pensiero dei tuoi collaboratori o clienti. È fondamentale per capire davvero cosa è successo. L'ho spiegato negli esempi qui sopra, lo spiego più approfonditamente nel podcast qua sopra che ti invito ad ascoltare.

    • Ascolto vero e non giudicante: ascolta con sincerità, senza "ma". Focalizza il tuo ascolto sull'interlocutore, spostando il focus da te stesso ai tuoi interlocutori: il risultato è una relazione gestita in modo più sciolto e semplice. In altri termini: meno stress.

    • Adotta la "postura dell'ignaro": agisci come se tu non fossi presente e volessi sapere cosa è successo. Chiedi semplicemente.

    • "Smontate il giocattolo": immagina l'accaduto come un meccanismo. Non demolirlo, ma smontane i pezzi, analizzateli insieme, guardate le combinazioni. Questo è giocare a carte scoperte.

    • Usa azioni di contatto: frasi come "se ho capito bene..." o "ho capito che..." servono a ristabilire il contatto e a verificare l'allineamento, mantenendovi sulla stessa pagina. Fai una sintesi per dimostrare di aver capito, ma evita di ripetere i dettagli non essenziali.

    • La relazione non è un contorno sentimentale: non si tratta di essere "carini" o “buone persone”. Si tratta di credere davvero nel bene dei tuoi collaboratori e clienti, perché questo porta beneficio a tutti.

    • La relazione riduce la fatica: quando gli altri diventano i tuoi consulenti, ti evitano di dover spiegare, giustificare o portare subito la soluzione. Fai domande e lascia che siano loro a darti le risposte.

  4. L'Azione: è l'ultimo passaggio, quello che conclude e attualizza gli obiettivi. Non anticipare l'azione, perché la relazione ne risulterebbe subordinata e condizionata.

Cosa significa che clienti e collaboratori diventano i nostri migliori consulenti?

Quando parlo di trasformare collaboratori o clienti nei tuoi migliori consulenti, intendo un approccio preciso che ti permette di andare dritto al punto e ottenere risultati concreti. Il vero fulcro non è che loro siano formalmente consulenti, ma che tu li faccia diventare tali chiedendo la loro vera opinione.

Questo significa innanzitutto che la tua opinione, per quanto tu sia intelligente e abbia già delle ipotesi, la tieni inizialmente per te. Se avessi già tutte le risposte, chiedere la loro sarebbe una presa in giro, una mera formalità. Invece, l'obiettivo è raccogliere quante più informazioni possibili da loro. Ti do pari dignità, mettendoti sullo stesso livello umano, pur nel rispetto dei ruoli professionali.

Così facendo, saranno loro a fornirti informazioni vitali che ti serviranno a formare un tuo parere definitivo in quanto responsabile o consulente a tua volta. Potrai così confermare le tue ipotesi iniziali o, magari, accorgerti che ti mancavano alcuni dati e che la tua prima idea era sbagliata. Non condizionare il loro pensiero è cruciale, perché solo così capirai davvero cosa è successo, evitando che il problema si ripeta o ingigantisca.

La bellezza di questo approccio è che ti riduce la fatica. Non devi più spiegare, giustificare o portare immediatamente la soluzione. Invece, fai domande e lasci che siano loro a darti le risposte. I tuoi collaboratori e i tuoi clienti ti saranno riconoscenti, sentendo che hai davvero utilizzato, cavalcato e "cucinato" gli "ingredienti" che ti hanno offerto. È un ascolto vero e non giudicante, che ti permette di smontare il giocattolo – ovvero analizzare un meccanismo che non ha funzionato, come se lo stessi separando in pezzi per comprenderne le combinazioni – senza demolirlo, ma esaminandone i singoli componenti insieme a loro.

Ti suggerisco di fare esperimenti: distribuisci chiaramente i contenuti della tua comunicazione, parti dai fatti, stabilisci l'obiettivo, costruisci la relazione, e solo dopo ragionate insieme sulle azioni concrete da fare.

Buona pratica.

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Stefano Todeschi Stefano Todeschi

19. Per comunicare bene definiamo l'obiettivo della comunicazione.

Definire l'obiettivo della tua comunicazione ti permette di sconfiggere il "mostro mitologico" delle interazioni inefficaci, risparmiando tempo ed energie tue e degli altri. Lo scopo è trasformare ogni conversazione, riunione o presentazione in un'opportunità per raggiungere risultati concreti e verificabili.

Definire l'obiettivo della tua comunicazione ti permette di sconfiggere il "mostro mitologico" delle interazioni inefficaci, risparmiando tempo ed energie tue e degli altri. Lo scopo è trasformare ogni conversazione, riunione o presentazione in un'opportunità per raggiungere risultati concreti e verificabili.

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Spesso, le conversazioni, le presentazioni e soprattutto le riunioni si trasformano in un "mostro mitologico", con "tante teste e nessuna direzione". Questo mostro divora tempo ed energie senza portare a nulla di concreto, lasciandoti con una sensazione di frustrazione e la domanda: "Qual era il punto?". Questa sensazione nasce quasi sempre da una mancanza precisa: l'assenza di un obiettivo chiaro.

L'obiettivo è la destinazione segnata sulla mappa. Se la "buona ragione" (il punto di partenza incontrovertibile, lo stato iniziale dell'arte, come la frustrazione di un collaboratore o un problema esistente) è la bussola che ti dice da dove parti, l'obiettivo ti indica dove devi andare. Senza questa chiarezza, sei destinato a vagare nel vuoto e alla deriva.

> L’obiettivo è il secondo fattore del sistema RORA > te lo spigo qui

1. Definire un obiettivo.

Definire l’obiettivo non è un dettaglio, ma l'atto di responsabilità più importante per comunicare bene.

È il criterio che guida ogni scelta successiva nella tua comunicazione: la durata, il tono, le parole, i dettagli da includere o omettere. Se l'obiettivo è informare, la comunicazione sarà in un modo; se è convincere, in un altro; se è motivare, in un altro ancora. Senza un obiettivo, rischi di creare un "polpettone di informazioni", lasciando tutto informe.

È fondamentale distinguere l'obiettivo dall'ordine del giorno di una riunione. L'obiettivo è la direzione precisa, come "Siamo qui per decidere X" o "Usciremo da questa stanza con un piano per Y".

Considera l'esempio di Paolo, un consulente innamorato del suo prodotto. Quando presentò il software al direttore IT di una grande azienda manifatturiera, il suo obiettivo avrebbe dovuto essere allineato con quello del direttore: stabilità, sicurezza e integrazione felice con i sistemi esistenti. Invece, Paolo si lasciò prendere dall'entusiasmo e spiegò per dieci minuti una complessa funzionalità futura basata sull'intelligenza artificiale. Questo fu un errore: quell'informazione era irrilevante per l'obiettivo del suo interlocutore, che cercava una soluzione stabile per un problema attuale. Così facendo, Paolo non solo fece percepire il prodotto come più complesso (e meno stabile) di quanto fosse, ma comunicò anche di non aver ascoltato il bisogno reale del cliente. Il suo obiettivo, "mostrare quanto siamo bravi e innovativi", non era congruente con quello del direttore IT. È normale perdersi nei dettagli quando si è appassionati, ma questo può portare a sprecare energie preziose e a parlare per sé stessi, non per l'interlocutore. È essenziale valutare sia il tuo obiettivo che quello di chi ti ascolta.

Nel podcast qui sopra analizzo ancheil caso Giulia: preda del loop di un partecipante alla riunione di team.

Una trappola comune è confondere l'obiettivo con il voler avere ragione, specialmente nei disaccordi o conflitti. Quando la discussione si scalda, la pulsione immediata è dimostrare che la propria posizione è quella giusta. Ma così facendo, si perde di vista il vero obiettivo della situazione.

L'obiettivo si sposta sul vincere una "battaglia verbale", il che è sbagliato, perché i conflitti, se ben gestiti, dovrebbero essere generativi e creativi, non guerre. Per un manager o un professionista, l'obiettivo non può essere quello di avere ragione; è sempre migliorare la comunicazione per migliorare la collaborazione.

2. Come si definisce un obiettivo che sia una vera guida?

Con la semplicità. Prima di ogni comunicazione importante (telefonata, riunione, email, confronto), o anche durante, valuta l'obiettivo. Se hai tempo, scrivilo: "Qual è l'obiettivo di questa comunicazione? Dove punta il mirino?". Il consiglio è di esprimere l'obiettivo con un massimo di 10 parole. Se non riesci a essere così sintetico, probabilmente l'obiettivo non è ancora chiaro a te stesso. Se non è chiaro per te, come potrà esserlo per gli altri?. L'obiettivo deve essere "opportuno", deve condurti a un porto sicuro, e a volte per raggiungerlo, devi lasciare andare discussioni che rischiano di farti deviare.

2 esempi concreti di obiettivi "chirurgici":

  • per una riunione decisionale: "Uscire da qui con la decisione finale sul fornitore". Questo obiettivo non lascia spazio a dubbi e rende tutti responsabili.

  • per una chiamata di allineamento con un cliente: "Concordare i prossimi tre passi operativi del progetto". Non un generico "allineiamoci" (che è la buona ragione di partenza), ma un risultato tangibile e misurabile.

  • nel podcast qui sopra faccio altri esempi, ascoltalo!

In sintesi, definire l'obiettivo è l'atto di chiarezza che ti permette di smettere di creare "mostri mitologici" e di iniziare a costruire conversazioni davvero efficaci. Questo significa anche rispettare il tuo tempo e quello delle persone con cui lavori, un valore fondamentale nella comunicazione.

Buona pratica.

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18. Perché hanno ragione anche quando hanno torto.

Come sbloccare le conversazioni difficili e gestire i conflitti nel tuo ambiente professionale per migliorare la comunicazione e ottenere una migliore collaborazione con clienti, colleghi e collaboratori.

Come sbloccare le conversazioni difficili e gestire i conflitti nel tuo ambiente professionale. Imparerai a distinguere l'avere ragione dall'avere una buona ragione. Vedremo in che cosa davvero le persone possono avere torto quando comunicano. Lo scopo: migliorare la comunicazione e ottenere una migliore collaborazione con clienti, colleghi e collaboratori.

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Abbiamo tutti in mente una conversazione che ci ha lasciato con l'amaro in bocca. Un collega, un cliente, un collaboratore che, dal nostro punto di vista, ha "torto marcio". La nostra reazione impulsiva è quella di affermare la nostra posizione, di dimostrare l'errore altrui. Ma questo, quasi sempre, porta a un'escalation di frustrazione che blocca ogni possibilità di collaborazione.

E se esistesse una leva più potente? Uno strumento controintuitivo per sbloccare queste situazioni, trasformando un potenziale scontro in un'opportunità? Questo strumento è contenuto in un paradosso: capire perché gli altri hanno ragione, anche quando palesemente hanno torto.

Analizziamo insieme questo meccanismo per renderlo un tuo strumento operativo.

1. Avere ragione vs. avere una buona ragione: la distinzione chiave.

Spesso confondiamo due concetti molto diversi: avere ragione e avere una buona ragione.

Avere ragione implica un giudizio di valore: è giusto o sbagliato.

Una buona ragione, invece, non è necessariamente giusta, ma è sufficiente a spiegare perché una persona fa o dice qualcosa.

Se ti pesto un piede e tu reagisci dandomi un pugno, la tua reazione non è giusta, ma il mio pestone è una buona ragione che la spiega. Allo stesso modo, la stanchezza, la frustrazione o una paura sono tutte buone ragioni che motivano i comportamenti. La buona ragione è un fatto, un dato di partenza. Negarla o giudicarla è inutile; osservarla e comprenderla è il primo passo per riprendere il controllo della comunicazione.

2. Dal giudizio all'indagine.

Marco, un project manager mio cliente, era costantemente frustrato da Luca, un designer di grande talento ma caotico, che lavorava sempre a ridosso delle scadenze. Dal punto di vista di Marco, Luca aveva torto perché non rispettava i tempi interni, creando problemi al flusso di lavoro.

• L'approccio basato sul "torto": In passato, Marco affrontava Luca frontalmente: "Sei di nuovo in ritardo, questo modo di lavorare è inaccettabile!". Il risultato era uno scontro il cui unico fine era stabilire chi avesse ragione, non migliorare la collaborazione.

• L'approccio basato sulla "buona ragione": Insieme, abbiamo cambiato leva. Invece di contestare il comportamento, Marco ha iniziato a indagare sulla buona ragione di Luca. Gli ha chiesto: "Ho notato che lavori molto negli ultimi giorni prima della scadenza. Forse questo metodo ti aiuta a essere più creativo, lavori meglio con l'adrenalina?".

Questa domanda ha cambiato tutto. Non era un giudizio, ma un tentativo di comprensione. Luca, sentendosi capito e non attaccato, ha ammesso che le scadenze intermedie lo bloccavano e che aveva bisogno del "caos" e dell'adrenalina per dare il meglio.

La conversazione si è spostata dal conflitto ("Chi ha torto?") alla risoluzione del problema ("Come facciamo a far convivere il mio bisogno di ordine con il tuo bisogno di flessibilità creativa?").

3. Disinnescare l'aggressività.

L'aggressività di un interlocutore è una delle sfide più difficili. Chiara, una consulente in change management, si è trovata in questa situazione. Durante la presentazione di un nuovo software, un capo reparto con 30 anni di anzianità l'ha interrotta a voce alta, accusando il progetto di essere "l'ennesima perdita di tempo".

• La reazione istintiva: Sarebbe stata quella di difendersi, di dimostrare che "questo progetto è diverso". Un errore che avrebbe solo alimentato lo scontro.

• La leva della "buona ragione": Chiara ha capito che quell'aggressività non era un attacco personale, ma un sintomo. Un sintomo di esperienze passate negative, della paura di un altro fallimento. L'uomo aveva torto nei modi, ma aveva le sue buone ragioni per sentirsi così.

La sua risposta ha disinnescato la bomba: "Mi sembra di capire che in passato qui in azienda ci siano state delle esperienze che hanno reso il lavoro più difficile invece di migliorarlo. È così?". Con questa mossa, Chiara ha legittimato l'emozione dell'uomo, gli ha dimostrato di averlo ascoltato e lo ha trasformato in un alleato.

Il mio consiglio: la prossima volta che ti trovi in un disaccordo, fermati un istante.

Invece di lottare per dimostrare di avere ragione, usa la curiosità. Puoi chiederti: "Qual è la buona ragione dietro le sue parole o le sue azioni?". Ecco una potente leva che sblocca i conflitti e riapre la porta alla collaborazione.

Buona pratica.

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Stefano Todeschi Stefano Todeschi

17. Smetti di pensare a cosa dire. Inizia a capire cosa serve all’interlocutore.

Per aiutare gli altri a comprendere davvero il nostro messaggio, ecco l’approccio RORA = ragione, obiettivo, relazione, azione.

Per aiutare gli altri a comprendere davvero il tuo messaggio, devi prima capire che cosa serve a loro, di che cosa hanno bisogno, cosa cercano e cosa osservano mentre comunichi. Ribaltiamo il classico pensiero: spostare il focus da "cosa dire" a "come posso aiutare chi ho di fronte a capire meglio?".

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Spesso, quando dobbiamo prendere parola – che sia per una presentazione, un'interazione, o per rispondere a obiezioni – la domanda che ci poniamo è: "E adesso cosa dico?". Questa domanda, pur non essendo sbagliata di per sé, può portare a confusione e generare un senso di prestazionalismo, dove l'obiettivo diventa solo quello di dimostrare la tua bravura o intelligenza. Nasce spesso da una sensazione di non essere all'altezza, una vera e propria trappola in cui tutti possiamo cadere.

Per affrontare questa paura e migliorare la tua comunicazione, ecco l'approccio RORA, una sequenza logica in quattro tappe che puoi utilizzare ogni volta che affronti una conversazione o una presentazione, liberandoti dal terrore di non trovare i concetti giusti. RORA sta per:

  • Ragione

  • Obiettivo

  • Relazione

  • Azione

Questo approccio pone la relazione umana al centro di tutto. Ti permette di cambiare il modo di prendere parola e ti aiuta anche a improvvisare quando non hai avuto modo di prepararti, una situazione sempre più frequente.

Vediamo nel dettaglio ciascun elemento:

  • Ragione

    Questo è il punto di partenza cruciale. La ragione deve essere un dato incontrovertibile, un'osservazione della realtà generale o soggettiva che non può essere messa in discussione. Se tu dici "io sento freddo", nessuno può contestarti questa sensazione personale, a differenza di un'affermazione generica come "qui dentro c'è freddo".

    Iniziare da una buona ragione, come le preoccupazioni o i dubbi del tuo interlocutore, apre l'ascolto e rende più facile la comprensione del tuo messaggio. Al contrario, portare subito la tua tesi o la tua richiesta (l'azione) è rischioso, perché può dividere l'uditorio e indurlo a chiudersi all'ascolto prima ancora di capire il perché della tua proposta. La buona ragione motiva la tua comunicazione.

  • Obiettivo

    Dopo aver stabilito la ragione, devi chiarire l'obiettivo della tua comunicazione. Non si tratta solo di comunicare, ma di farlo per uno scopo specifico, che risponda alla ragione iniziale. L'obiettivo può essere tuo oppure delle persone in ascolto.

  • Relazione

    Questo è il momento di riconnetterti con la persona o il gruppo. Si tratta di mostrare attenzione e sensibilità verso lo stato d'animo e le difficoltà degli altri. La comunicazione diventa a doppio senso, chiedendo conferma e coinvolgendo attivamente l'interlocutore, piuttosto che essere un monologo. È qui che si costruisce la sintonia.

  • Azione

    Solo alla fine arriva la richiesta concreta o la proposta di azione. Formulando la tua richiesta in questo modo, essa risulta precisa, facilmente comprensibile e accolta con più facilità perché è preceduta da una buona ragione, un obiettivo chiaro e una relazione stabilita.

L’approccio RORA è un modo di ragionare e riflettere prima ancora di comunicare, un approccio mediato particolarmente utile nelle situazioni di improvvisazione, conflitto, o difficoltà. Ti aiuta a chiarire gli aspetti partendo dalle buone ragioni dei tuoi interlocutori, definendo un obiettivo comune, curando la relazione e infine arrivando ad azioni concrete e tangibili.

Ascolta il podcast qui sopra, dove trovi tre esempi di applicazione dell’approccio RORA.

Nelle prossime quattro puntate, continueremo questo percorso, esplorando nello specifico ciascuno di questi quattro passaggi del RORA, partendo dalla Ragione, il vero motore silenzioso di ogni comunicazione efficace.

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Stefano Todeschi Stefano Todeschi

16. 3 fattori per comunicare con sicurezza ed efficacia.

Comunicare con sicurezza ed efficacia si fonda su tre fattori: parole, espressività e, cruciale, l'intenzione. L'intenzione regola il lavoro sulle parole e sulla espressività.

Per comunicare con sicurezza ed efficacia, i tre fattori chiave sono parole, espressività e, soprattutto, una chiara intenzione. Quest'ultima è la tua bussola, essenziale per superare le insicurezze e ottenere l'effetto desiderato sull'interlocutore.

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Per comunicare con sicurezza ed efficacia 3 sono i fattori da considerare sempre. Sono strettamente intrecciati: le parole, l'espressività e, soprattutto, l'intenzione. Quest'ultima è la bussola della tua comunicazione, la vera chiave per superare le insicurezze e ottenere l'effetto desiderato sull'interlocutore.

Il vero nocciolo del problema: l'intenzione.

Troppo spesso, ricevo messaggi da persone che detestano la propria espressività, la voce che sentono "non bella", la gestualità che trovano rigida o monotona. Tutto questo porta a un profondo senso di insicurezza e inadeguatezza, la famosa sindrome dell'impostore, dove temi il giudizio degli altri non tanto su ciò che dici, ma sulla tua persona. Ti prendi cura di ciò di cui non dovresti curarti.

Queste insicurezze sono solo una proiezione delle tue paure sugli interlocutori. È come se un proiettore mentale disegnasse sul loro volto le tue stesse ansie. La soluzione? Spegnere quel proiettore e focalizzarti sull'intenzione.

L'intenzione: la tua bussola.

L'intenzione è la buona ragione per cui dici le cose che dici alle persone a cui le dici. È il perché profondo della tua comunicazione.

Puoi avere le parole più belle e l'espressività più coinvolgente, ma senza una chiara intenzione, tutto è vano. L'intenzione ti permette di declinare le parole in modo intelligente e sentirti automaticamente più sicuro, prendendoti cura di ciò che conta davvero.

Ti invito a farti tre domande sull'intenzione, fondamentali prima di ogni tua comunicazione:

  1. Che cosa stai guardando?
    Il mio suggerimento: non guardare il risultato finale – per esempio, la vendita – mentre stai parlando. Se sei un consulente finanziario che spiega il risparmio gestito, il tuo obiettivo in quel momento non è vendere, ma spiegare il risparmio gestito. Quando un venditore guarda solo la vendita, tu cliente diventi un mero oggetto di mercato, e questo si percepisce. La tua attenzione deve essere sul contenuto che stai portando, nel momento in cui lo stai portando.

  2. Come lo stai guardando?
    Questo riguarda il tuo ruolo professionale. Sei un consulente finanziario che tenta di fare il docente? Se ti poni in un ruolo che non è il tuo, ti sentirai stressato e insicuro, perdendo efficacia. Devi chiederti chi sei, cosa fai e cosa puoi fare per le persone.

  3. Perché stai guardando ciò che stai guardando?
    Qui entriamo nel profondo. Il perché è la ragione che ti spinge a comunicare. Vuoi differenziarti, esprimere la tua opinione, essere riconoscibile, lasciare un segno? Tutte queste motivazioni, che affondano spesso nella tua dimensione psichica, nella tua storia di vita, possono essere potenti, ma se non le riconosci, rischi di deviare, di andare fuori tema. Non puoi portare le tue dinamiche interne di crescita personale nel momento della comunicazione professionale, perché distrarrebbero il pubblico. La sede per questo è un'altra.

Le parole: il "che cosa".

Le parole sono il "che cosa" dici, i concetti che mandi, il messaggio chiave. Hai già i tuoi concetti, te ne occupi ogni giorno. Il vero lavoro è vederli, selezionare quelli davvero importanti in base alla tua intenzione e poi organizzarli, strutturando la tua presentazione o interazione in funzione dell'intenzione stessa.

I concetti sono i pilastri della tua idea centrale, la tua tesi.

L'espressività: il "come sto comunicando".

L'espressività è il "come" dici le cose. Da non confondersi con il come stai guardando ciò che stai dicendo in ragione dell'intenzione (vedi sopra).

Tanti si focalizzano sull’espressività. Con il rischio di sentirsi inadeguati soprattutto quando pensano a modelli che ammirano.

Quando l'espressività diventa la preoccupazione principale, il vero problema è la mancanza di chiarezza nell'intenzione. L'espressività non deve essere mai la prima cosa a cui pensi mentre comunichi.

Tuttavia, è fondamentale lavorarci prima o parallelamente alle tue interazioni. È importante:

  1. conoscere le tecniche per rendere ogni presentazione più piacevole e coinvolgente, per volgere le persone verso la tua idea;

  2. trovare la tua espressività unica e irripetibile. Esprimere significa premere fuori qualcosa da te stesso. Sii consapevole di come il tuo tono e il tuo corpo cambiano in base all'argomento o all'emozione. Questo è il tuo modo autentico.

ASCOLTA ANCHE > Comunicare e parlare in modo originale e autentico.

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Stefano Todeschi Stefano Todeschi

15. Come gestire i disaccordi: impariamo a smontare le conversazioni.

Per ridurre incomprensioni e conflitti serve definire bene i confini delle reciproche responsabilità: a ciascuno le sue. Ecco come farlo in modo leggero, semplice ed efficace.

Quando ci assumiamo responsabilità che non ci competono proviamo un senso di pesantezza mentale ed emotiva.

Imparare a smontare le conversazioni può darti più leggerezza e lucidità, potenziando la tua efficacia comunicativa e le relazioni professionali.

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Spesso, dopo una riunione tesa o una discussione con i colleghi, proviamo una pesantezza mentale ed emotiva. Una delle cause può essere un conflitto con gli interlocutori. Accade specialmente se un disaccordo è gestito male e ci porta a sentirci sovraccarichi, come se il peso dell'intera interazione fosse solo sulle nostre spalle.

Si rende necessario imparare a definire bene i confini delle nostre responsabilità e quelle degli altri. La nostra maggiore fonte di stress nasce quando ci assumiamo responsabilità che non ci competono e quando non permettiamo agli altri di prendersi le proprie.

Immagina un disaccordo come un giocattolo, un meccanismo che non funziona. La reazione istintiva è forzarlo o demolirlo, ma questo peggiora le cose e rischia di distruggere la relazione. Ti propongo l'approccio dell'artigiano curioso: smontare con cura il "giocattolo" della conversazione, pezzo per pezzo, per capire quale rotellina non gira. Questo è un processo di indagine, scientifico, per capire cosa stia accadendo nel conflitto, che è una semplice mancanza di congruenza tra le parti.

Vediamo come fare in quattro passi cruciali:

  • 1. Smontare il disaccordo e osservare i dati: il primo errore è percepire un disaccordo come una contestazione personale. Se stiamo lavorando su un progetto, occupiamoci di quel tema specifico. Prendi l'esempio di un manager che chiede una "brochure semplice" e riceve un libretto di 12 pagine. Invece di proiettare frustrazione o rabbia, puoi lavorare sui dati oggettivi.

    Il mio consiglio di evitare di interpretare ("forse era abituato a standard più alti"), e rimanere sui fatti: "Ti ho chiesto una brochure semplice... e ne ho ricevuta una di dodici pagine". Non stai accusando, ma osservando una differenza tra richiesta e risultato.

  • 2. Esaminare la rotellina delle nostre emozioni: le nostre emozioni di disagio, irritazione o rabbia vanno riconosciute, non proiettate fuori o soffocate. Riappropriati del tuo sentire: invece di dire "Mi hai ignorato", puoi esprimere la tua sensazione: "Mi sento un po' confuso, non sto capendo cosa sia successo".

    Le tue sensazioni sono verità inoppugnabili; nessuno può controbattere. Prendendoti la responsabilità della tua emotività, ma senza gettarla sull'altro, stai implicito dicendo: "Siccome sono confuso, adesso ho bisogno di fare chiarezza".

  • 3. Assumere la postura dell'ignaro: questo è un potente cacciavite di precisione per disinnescare i disaccordi. "Ignaro" non significa stupido. Significa assumere una posizione mentale di chi non dà nulla per scontato. L'obiettivo è capire sinceramente le ragioni altrui.

    Quando ricevi una domanda che sembra un giudizio ("Vedo che ha cambiato tre aziende... cerca stabilità, forse"), la reazione automatica è giustificarsi o irritarsi. Invece ciò che puoi fare è restituire la palla: "C'è qualcosa di specifico che vuole capire su questa motivazione?". Ora sta di nuovo all'interlocutore giocarsela. Non c'è aggressività, ma una legittima richiesta di capire lo scopo.

    Costringi l'altra persona a prendersi la responsabilità della propria domanda.

  • 4. Rimontare il giocattolo: il riepilogo per l'allineamento: questo passo è fondamentale e andrebbe fatto continuamente. Il riepilogo è lo strumento per capire… se ci stiamo capendo. Per capire se siamo allineati sui contenuti.

    Puoi usare frasi come "Se ho capito bene" o "Voglio essere sicuro di aver capito". L'obiettivo non è dimostrare intelligenza, ma assicurarsi di essere allineati.

    Se senti un disagio, hai il diritto e il dovere di fermare il gioco e dire: "Ho bisogno di chiarire una cosa per me". La responsabilità di chiedere maggiore chiarezza è nostra; poi passeremo la palla all'altra persona per verificare l'allineamento.

Quando ci prendiamo la responsabilità del nostro sentire e del nostro capire, smettiamo di farci carico delle intenzioni altrui, che non possiamo conoscere. In altri termini ognuno si prende la responsabilità delle proprie intenzioni, pensieri, parole e azioni. Questo metodo scientifico ti regala la possibilità di più leggerezza e lucidità.

Smontare il giocattolo permette di ottenere maggiore efficacia comunicativa e potenzia la relazione professionale.

La vera responsabilità non è portarsi il mondo intero sulle spalle, ma portare con leggerezza solo il proprio pezzo di responsabilità e lasciare agli altri lo spazio e la dignità di fare lo stesso, prendendosi le proprie.

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14. Trasformare clienti e collaboratori in nostri consulenti.

Trasforma clienti e collaboratori nei tuoi migliori consulenti, ottenendo una collaborazione reale e semplificando il tuo lavoro.

La comunicazione assertiva, da sola, è poco e rischia di creare una pericolosa asimmetria con chi ti ascolta.

Vediamo la strategia per trasformare clienti e collaboratori nei tuoi migliori consulenti, ottenendo una collaborazione reale e semplificando il tuo lavoro.

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Ci hanno sempre detto che per essere efficaci nel lavoro dobbiamo essere assertivi: chiari, diretti, capaci di affermare le nostre idee. Tutto giusto. Ma se questa ricerca dell'assertività, da sola, fosse una trappola?

Se, nel tentativo di affermare noi stessi, finissimo per creare un muro con i nostri clienti e collaboratori, rendendoli passivi e prendendoci sulle spalle una fatica immane?

Quando parlo di comunicazione asimmetrica non intendo solo la differenza fra chi parla e chi ascolta. Il problema è più profondo: l'asimmetria nasce quando una persona, consapevolmente o no, si pone in uno stato di superiorità rispetto all'altra.

Si crea una dinamica in cui c'è chi si sente più forte, più competente, e di conseguenza mette l'altro in una posizione di subalternità. Qualcuno sta sopra, e qualcuno sta sotto. Questa non è una relazione, è un rapporto di potere. Il cliente non si sente ascoltato e il collaboratore non si sente valorizzato. Il risultato? Incomprensioni, fatica e risultati mediocri.

Ma c'è un'alternativa, un cambio di prospettiva che io chiamo la Strategia della cordata. (qui te la spiego nei dettagli)

I nostri clienti e i nostri collaboratori sono i nostri migliori consulenti.

Chi meglio di clienti e collaboratori conosce il problema, il contesto, le necessità reali che vivono?

Noi abbiamo la nostra conoscenza specialistica, ma loro possiedono le informazioni più preziose. Il nostro compito è di creare le condizioni perché siano loro a guidarci verso la soluzione migliore. La comunicazione assertiva va bene, è una base, adesso è il momento di cominciare a collaborare davvero.

Come si fa, in pratica? Con due step fondamentali.

  1. L'ascolto e il riepilogo: quando un cliente o un collaboratore ti espone un problema, la prima cosa da fare non è rispondere, ma ascoltare. E dopo fare una sintesi con le tue parole: "Ok, se ho capito bene, la situazione è questa...". Questo semplice atto è il primo chiodo che piantiamo nella roccia: dimostra che il nostro primo obiettivo è capire il loro mondo, non imporre il nostro.

  2. La verifica e la responsabilizzazione: dopo il riepilogo, la domanda chiave è: "Ti torna?". Con questa semplice domanda, stai buttando la palla all'altro.

    Non stai chiedendo un voto sulla tua bravura, ma gli stai conferendo il ruolo di esperto: ha vissuto la propria esperienza e ne è il miglior testimone.

    Lo stai rendendo responsabile e partecipe della costruzione della soluzione. In quel momento, hai smesso di essere un semplice fornitore o un capo e hai iniziato a trasformarlo in un tuo consulente.

Quando applichi questo metodo, la dinamica cambia completamente. Non devi più spingere per farti valere, perché le idee si costruiscono insieme. La fatica si dimezza, la fiducia aumenta e le soluzioni diventano infinitamente più efficaci, perché nascono da una collaborazione reale.

La vera forza non sta nell'imporre la propria visione (il rischio dell’assertività mal applicata), ma nel creare una visione condivisa.

Per approfondire come applicare la strategia della cordata nella tua comunicazione di tutti i giorni, ascolta la puntata completa del podcast qui sopra.

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13. Smetti di parlare bene. Inizia a farti capire.

La ricerca della perfezione nel parlare genera ansia. Serve un cambio radicale: il vero scopo è farti capire.

Ti spiego perché la ricerca della perfezione nel parlare genera ansia, proponendoti un cambio radicale: il vero scopo è farti capire, aiutando l'interlocutore a comprendere per prendere decisioni. Questo ti permetterà di comunicare con serenità e autenticità, concentrandoti sull'altro anziché sulla tua performance.

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Ecco la rivoluzione nel modo di comunicare: il mio consiglio è di smettere di voler "parlare bene" e iniziare invece a "farti capire".

So che questo può sembrare strano, dato che siamo stati educati a ricercare la perfezione nel linguaggio, ma è proprio questa ricerca della perfezione a generare ansia, inefficacia e a impedire che il messaggio arrivi.

Parlare bene è un'attività concentrata su di sé, mentre farsi capire si concentra sull'altra persona, ed è un atto di servizio. Se ti concentri troppo sulla tua performance o sulla forma, rischi solo di stressarti e perdere il contatto con chi ti ascolta. Tu non sei un attore; sei una persona che, come un mezzo, aiuta l'altro a comprendere meglio numeri, messaggi e informazioni.

Meglio l’autenticità.

Cercare di recitare una parte o ostentare una sicurezza che non senti è una fatica immensa e controproducente.

Essere se stessi, anche ammettendo professionalmente delle frustrazioni, crea una connessione basata sulla sincerità e mostra dedizione, non debolezza. La tua naturalezza e vitalità sono la tua migliore presa sulla roccia, non puoi scalare con le mani di un altro.

Tecniche pratiche.

Le tecniche pratiche devono essere al servizio della comprensione, non dell'estetica. La comunicazione è un'attività profondamente fisica, non solo mentale.

Non si tratta di fare gesti eleganti, ma di vivere il corpo come strumento per farsi capire meglio. Ogni gesto, pausa o movimento deve avere lo scopo di aiutare la comprensione di chi ascolta.

Queste sono 3 tecniche pratiche per utilizzare il corpo in modo strategico:

  • L'enumerazione: numerare i concetti con le dita in modo visibile aiuta a collocare le idee nello spazio, rendendole quasi palpabili per l'ascoltatore.

  • Le pause: sono vitali per concedere all'interlocutore il tempo fisico di elaborare un concetto prima di passare al successivo. La fretta è nemica della comprensione.

  • Il movimento e la gestualità: coinvolgere tutto il corpo permette alla tua espressività di emergere naturalmente. Puoi "collocare" i concetti nello spazio, mostrando fisicamente percorsi dal problema alla soluzione, facilitando così la comprensione. Noi italiani, in particolare, gesticoliamo naturalmente, e reprimerlo ci fa apparire innaturali.

Tutti questi strumenti – lo spostamento del focus, l'autenticità e le tecniche fisiche – hanno un unico scopo: aiutare chi ascolta a raggiungere la vetta della comprensione, insomma, aiutarli a capire il tuo messaggio.

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12. Iniziare un discorso col botto grazie al silenzio.

Come iniziare un discorso senza usare le parole ma ottenendo subito l’attenzione più forte.

Ritengo il silenzio la strategia più potente per iniziare un discorso, catturando immediatamente l'attenzione del pubblico. Questo vuoto genera attesa, segnalando l'importanza di ciò che sto per comunicare e preparandoli all'ascolto. Ascolta nel podcast sopra come puoi applicarlo.

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Come catturare immediatamente l'attenzione del pubblico all'inizio di un discorso, una presentazione o un intervento: l'uso strategico del silenzio.

Siamo nel il momento che precede le parole: è lo spazio e il momento che fissa una relazione immediata con l'uditorio.

Perché funziona.

Il meccanismo psicologico del silenzio crea un "vuoto" che la natura umana tende a detestare e, di conseguenza, a voler riempire. Questo vuoto genera un'aspettativa nel pubblico, spingendolo a concedere la propria attenzione.

Ecco cosa puoi fare: tipo un silenzio davanti alle persone, magari sorridi anche con lo scopo di mandare un messaggio implicito e di basso costo energetico: "Ciò che sto per dire è così importante che merita questa attesa, merita questo silenzio".

Questo stabilisce una direzione immediata verso le parole che seguiranno, riconoscendo che il linguaggio articolato è l'elemento più significativo per la comunicazione umana: siamo tutti in attesa delle parole!

Come applicare la tecnica

La sequenza operativa è semplice e diretta:

  1. Posizionati nel punto da cui si intende parlare.

  2. Mantieni il silenzio.

  3. Guarda le persone:

    • passando lo sguardo da un lato all'altro del pubblico se di alcune decine di persone o più;

    • guardandole una a una, se siamo davanti a circa una decina di persone o meno.

  4. Una volta che hai percepito con chiarezza della presenza del pubblico, puoi finalmente iniziare a parlare.

Benefici e considerazioni

L'adozione di questa tecnica è estremamente coinvolgente.

Questo inizio silenzioso è sensato perché dirige immediatamente l'attenzione verso il contenuto principale o la tesi che desideri poi mandare al pubblico in ascolto.

Mi rendo conto che possa sulle prime risultare imbarazzante. Mi rendo conto che se non ha mai applicato questa tecnica potresti esserne scettico. Ma poiché la sperimentata più volte personalmente e la sperimentano e ormai utilizzano i miei clienti che sono stati in formazione con me - e i risultati sono potenti - ti suggerisco col cuore: provala! È l'unico modo per renderti conto quanto sia potente.

Provala!

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11. Far riflettere il pubblico fin dall'inizio.

Per un coinvolgimento profondo possiamo aiutarlo a riflettere su stesso… senza nemmeno dirglielo. Lo facciamo e basta, ecco come.

Ti presento l'approccio per iniziare un intervento con lo scopo di innescare la riflessione, più che il ragionamento. Per un coinvolgimento profondo, presento situazioni in cui il pubblico possa riconoscersi, partendo dalla sua realtà e guidandolo alla mia tesi.

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Pongo una distinzione fondamentale tra un discorso che fa ragionare e uno che fa riflettere.

Il primo si rivolge alla logica, presentando una sequenza di pensieri guidati, dove A porta a B e così via. Le parole hanno lo stesso significato sia per chi parla che per chi ascolta.

La riflessione, invece, è un movimento interiore. Avviene quando l'ascoltatore si rivede nell'esperienza del relatore, come allo specchio. L'obiettivo di un inizio riflessivo non è convincere con la logica, ma agganciare il pubblico attraverso il rispecchiamento o il riconoscimento.

Per innescare questa riflessione, è cruciale presentare esempi o situazioni in cui il pubblico possa riconoscersi o rispecchiarsi, sentendo che "quella è la mia situazione".

Questo richiede la conoscenza approfondita del proprio pubblico e il coraggio di esporre affermazioni ed esempi che li tocchino nel profondo. L'approccio consiste nel partire dalla realtà dell'ascoltatore per poi guidarlo verso la propria tesi. Le storie sono uno strumento ideale per raggiungere questo scopo.

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10. Raccontare una storia per iniziare una presentazione o un discorso

Come iniziare una presentazione, un discorso, un intervento, con un racconto per permettere al pubblico di elaborare autonomamente le emozioni e le riflessioni.

Per iniziare una presentazione, un discorso, un intervento, il racconto cattura l'attenzione introducendo un problema e la sua risoluzione. È fondamentale narrare la storia in modo neutro, senza recitazione o anticipazioni, per permettere al pubblico di elaborare autonomamente le emozioni e le riflessioni.

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Per iniziare una presentazione, un discorso o un intervento, il racconto è un metodo coinvolgente che cattura l'attenzione del pubblico, poiché tutti siamo naturalmente curiosi di conoscere lo sviluppo e la risoluzione di una vicenda che nasce da un problema.

La storia deve essere funzionale all'idea centrale della presentazione e non deve necessariamente essere la classica narrazione inflazionata del "viaggio dell'eroe" che, essendo ormai diffusa, rischia di risultare offensiva per l'intelligenza del pubblico e una perdita di tempo. (Tuttavia questo non significa che il viaggio dell'eroe non funzioni, anzi!)

Una storia può anche servire a presentare il relatore, fornendo un'immagine potente e memorabile anziché un tradizionale elenco di titoli o un CV.

Gli elementi strutturali di una storia efficace includono:

  • la situazione iniziale normale che viene interrotta da un problema;

  • una serie di tentativi da parte del protagonista per risolverlo;

  • la soluzione al problema, che può essere comunicata immediatamente dopo il racconto o sospesa fino alla fine della presentazione. Se sospesa, deve costituire un punto di svolta significativo, strettamente legato al messaggio centrale e non solo un espediente per mantenere l'attenzione.

È fondamentale che la storia abbia una collocazione temporale ("quando") e spaziale ("dove") precisa, poiché questi elementi funzionano da ancoraggi di chiarezza e devono essere funzionali al messaggio centrale.

Nel narrare, è cruciale evitare la recitazione o l'espressione diretta di reazioni emotive, poiché il pubblico preferisce elaborare autonomamente l'interpretazione emotiva della vicenda. Allo stesso modo, il mio consigliò di evitare anticipazioni o riflessioni successive maturate dopo l'evento, raccontando la storia in modo neutro.

"Neutro" non significa indifferente, ma implica non caricare il racconto di recitazione o di ragionamenti postumi, permettendo così al pubblico di divertirsi a caricarlo di proprie riflessioni e ragionamenti.

Ogni aspetto del racconto deve sempre convergere sull'idea centrale o sul messaggio chiave dell'intervento.

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9. Cosa mettere in valigia per iniziare bene un discorso.

Un esordio troppo memorabile che eclissa il contenuto crea solo problemi. È cruciale che ogni parte del discorso, compreso l'inizio, converga sull'idea principale.

Domandarsi SOLO "come iniziare un discorso" può essere fuorviante. Un esordio troppo memorabile che eclissa il contenuto crea solo problemi. È cruciale che ogni parte del discorso, compreso l'inizio, converga sull'idea principale.

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Domandarsi come iniziare un discorso è una domanda potenzialmente fuorviante. Non considera il fattore più importante: il messaggio centrale.

Un inizio memorabile, purtroppo, spesso porta le persone a ricordarsi solo di quello, non del messaggio principale che si voleva trasmettere – sia esso un nuovo progetto, un prodotto o un servizio.

La chiave è che l'inizio della presentazione deve essere sempre subordinato al messaggio centrale. Come quando si prepara una valigia, non si pensa solo "cosa metto in valigia?", ma "dove e quando vado in vacanza?". Allo stesso modo, l'inizio dell'intervento dipende dal "dove e quando", ovvero dal messaggio che vogliamo inviare.

È cruciale fare una ricerca di idee che ruoti attorno a questo messaggio principale. Solo dopo averne generate molte, si potrà scegliere un'idea per cominciare, perché sarà intrinsecamente legata e subordinata al fulcro del discorso.

Il contrario, cioè partire da un inizio roboante per poi "declinare" il resto, sarebbe un lavoro sterile. Significa condizionare ogni argomentazione a favore di un inizio che, per quanto bello, non è radicato nell'idea centrale e può essere consigliato da chi non ha un interesse diretto nella sua efficacia.

Il messaggio centrale è come il nucleo di un pianeta: tutto si irradia da esso e tutto deve ritornarvi, è una "legge universale".

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8. Come iniziare un discorso o una presentazione in modo sensato.

Un inizio efficace deve essere "sensato". Lo scopo: avere un pubblico che ti ascolta, fin dalla prima parola.

Come iniziare una presentazione, un intervento pubblico? Un inizio efficace deve essere "sensato": deve dare subito una direzione chiara verso la mia tesi. Lo scopo: avere un pubblico che ti ascolta, fin dalla prima parola.

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L’inizio di ogni tuo intervento deve essere sensato. Primo, deve essere logico.

Secondo, deve avere una direzione precisa verso la tua tesi: l’idea principale che vuoi comunicare. Tutto ciò che dici deve convergere verso quell'idea centrale, e quindi anche l'inizio deve mirare fin da subito in quella direzione.

L'errore da non fare

L'errore più diffuso è cercare online una frase celebre, piazzarla all’inizio e poi non usarla più all'interno del discorso. Così facendo, la citazione non ha alcun senso rispetto alla tua idea centrale.

Prima ancora di pensare all’inizio, chiediti qual è il messaggio principale che vuoi dare, perché il messaggio deve essere uno solo. L'inizio, come ogni altro argomento, serve a sostenere quel messaggio. Se usi una citazione, quindi, deve essere funzionale e devi riutilizzarla.

Due strutture a tua disposizione

Lo sviluppo del tuo discorso può seguire due macro-strutture:

  • Lineare: procedi aggiungendo argomentazioni passo dopo passo per dare forza alla tua idea centrale. Se presenti un prodotto, ad esempio, puoi parlare dei problemi che risolve e dei benefici che dà, costruendo una serie di argomentazioni che portino il cliente a desiderarlo.

  • Circolare: questa struttura consiste nel ripresentare alla fine ciò che avevi introdotto all'inizio, ma arricchendolo di un nuovo significato. Per capire bene questo passaggio, ti consiglio di ascoltare l’audio del podcast.

La domanda chiave per te

La domanda fondamentale da porti è: che senso ha questo inizio? Va in direzione della mia tesi o è semplicemente un abbellimento?

Nell'audio del podcast, ti spiego come funziona.

Per aiutarti a valutare se iniziare con un racconto o con una citazione, ti consiglio di scaricare la mia checklist operativa e gratuita.

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