Il podcast di Stefano Todeschi
Per imprenditori, manager e professionisti che vogliono comunicare con sicurezza e autorevolezza. Nuova puntata: ogni giovedì mattina.
Cerca qui quello che vorresti approfondire sui temi del parlare in pubblico e delle interazioni umane:
22. La base per strutturare una presentazione o un discorso
La base per strutturare una presentazione è una singola idea centrale (tesi), chiara e semplice, che incarna il tuo sguardo unico sull'argomento. Non si tratta solo di informare o esporre un problema, ma della tua specifica proposta o visione per renderla indimenticabile al tuo pubblico.
La base per strutturare una presentazione è una singola idea centrale (tesi), chiara e semplice, che incarna il tuo sguardo unico sull'argomento. Non si tratta solo di informare o esporre un problema, ma della tua specifica proposta o visione per renderla indimenticabile al tuo pubblico.
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Quando comunichi le persone non ti stanno mettendo sotto esame. Quando comunichiamo le persone desiderano capire ciò che stiamo dicendo.
Il vero obiettivo è far sì che chi ti ascolta capisca la tua idea. La tua idea dovrebbe essere unica, proprio come unico è il tuo sguardo professionale. Vediamo.
La tesi: l'idea centrale e lo sguardo personale
La tesi è l'idea più importante che vuoi che le persone si ricordino della tua presentazione. Deve essere semplice e guidarti in ogni momento. È il punto di fuga verso cui convergono tutte le linee del tuo discorso. Senza una tesi chiara, le persone non capiranno dove vuoi andare a parare.
Spesso, molte persone pensano che la tesi sia "far capire come stanno le cose". Questo, però, è al massimo formazione o insegnamento, una lezione. Se il tuo intento è solo spiegare il funzionamento tecnico dell'intelligenza artificiale, ad esempio, rischi di risultare un divulgatore intercambiabile. Il rischio è che tu diventi una "commodity", un docente come un altro.
La vera differenza la fa il tuo sguardo.
Il punto di vista è legato al ruolo o ai titoli (un avvocato ha il punto di vista legale, un commercialista quello contabile, e sono tecnicamente intercambiabili).
Lo sguardo, invece, è molto più profondo: c'è la persona, la sua esperienza di vita, le sue visioni del mondo e del settore professionale. È la ragione per cui preferiamo un medico o un avvocato rispetto a un altro, anche se hanno le stesse qualifiche. È ciò che rende la tua idea unica, anche se il tema è simile a quello di altri.
Una tesi, quindi, non è un dato di fatto ("se piove mi bagno" o "se crescono le commesse dobbiamo assumere nuovo personale"). Una vera tesi esce dalla norma e propone uno sguardo nuovo, ad esempio: "se crescono le commesse, dobbiamo assumere nuovo personale, purché condivida la nostra mission". Oppure: "se crescono le commesse dobbiamo assumere nuovo personale purché dotato di autonomia di giudizio, anche se non condivide la nostra mission”.
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L'unicità della tesi
Un errore comune è pensare di avere più tesi o messaggi centrali. La tesi (o idea centrale) deve essere unica: su di essa ruota tutto. Tutte le altre idee sono satelliti di questa idea centrale. Questo semplifica l'ascolto a chi ascolta.
Possiamo distinguere due macro tipologie di tesi:
Tesi informative: mirano a comunicare nuove informazioni o a sfatare credenze consolidate. Un esempio è "le zanzare non sono attratte primariamente dalla luce, ma dagli odori degli umani". Qui il focus è convincere sul risultato delle nuove ricerche scientifiche, sfatando ciò che la scienza stessa pensava prima di oggi.
Tesi persuasive: l'obiettivo è portare le persone ad apprezzare la tua idea (il tuo sguardo) e a compiere un'azione. La forma più semplice è "per ottenere X, fai Y" o "se fai Y, allora ottieni X". Esempi includono convincere all'acquisto, ad assumere comportamenti specifici (come nei TED Talk o discorsi motivazionali). Qui lo speaker dimostra che la propria idea è superiore grazie al suo sguardo unico.
Come trovare ed esprimere la tua tesi
Il mio consiglio più pratico è di esprimere la tua tesi prima di tutto a te stesso. Fallo in poche parole, in modo semplice e chiaro, senza argomentazioni. L'ideale è 10-15 parole massimo. So che non è facile.
A volte, questa idea centrale non è chiara fin dall'inizio. Non preoccuparti, è normale. In quel caso, suggerisco di compiere un lavoro di ricerca delle idee, di provare l'intervento ad alta voce e prendere appunti per capire quale idea guidi tutte le altre. Se ci sono più "centri di gravità", il rischio è confondere chi ascolta.
Buona pratica.
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21. Comunicare bene le azioni da fare (in riunioni e presentazioni)
La comunicazione professionale deve sempre tradursi in azioni concrete, che vanno comunicate con chiarezza. Vediamo come fare.
La comunicazione professionale deve sempre tradursi in azioni concrete, che vanno comunicate con chiarezza. È fondamentale che queste azioni siano 1) precise (quando, dove, come), 2) pulite (senza ripetizioni o parafrasi) e 3) che definiscano inequivocabilmente la responsabilità di chi le deve compiere per garantirne l'effettiva realizzazione. Vediamo come fare.
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Ogni volta che comunichiamo, l'aspettativa è chiara: vogliamo che accadano delle cose. Ci attendiamo che le persone prendano decisioni o assumano comportamenti coerenti con i nostri desideri e con il contesto professionale. Comunicare solo per esprimere se stessi, senza tradurlo in azioni concrete, non è utile nella nostra attività.
Ecco una sintesi della puntata del podcast, ma ti consiglio di ascoltarlo, ti aiuterà a ragionare e riflettere sulla tua situazione.
Il mio sistema R.O.R.A. (Referente, Obiettivo, Relazione, Azione) pone l'azione come il risultato finale concreto a cui miriamo con la nostra comunicazione. L'Azione è supportata da buone Ragioni, un Obiettivo definito e la Relazione con chi ci ascolta.
1. 2 macro ambiti della comunicazione con persone (il public speaking)
Questo vale in due macro ambiti fondamentali che distinguo sempre quando parlo di comunicazione:
le presentazioni: qui rientrano le presentazioni con PowerPoint, i discorsi, le presentazioni pubbliche e le lezioni per formazioni. Abbiamo spesso un contenuto preparato con l'obiettivo di guidare il pubblico verso specifiche azioni, come ad esempio scaricare un PDF o acquistare una proposta commerciale;
le interazioni: si tratta di momenti in cui non c'è un discorso preparato, ma improvvisiamo, reagendo o agendo in base a ciò che accade nel dialogo con le persone. Anche qui l'obiettivo finale sono azioni concrete che l’interlocutore dovrebbe poter compiere.
In entrambi questi ambiti, il focus sulle azioni è vitale.
2. Fare riunioni finalizzate alle azioni da compiere.
Quando comunichiamo queste azioni, dobbiamo considerare il contesto. Se ragioniamo su come funzionano riunioni e meeting aziendali, capiamo meglio l'importanza della chiarezza sulle azioni perché ci sta ascoltando. Ciò che riguarda le riunioni può essere poi utile anche per presentazioni, talk e discorsi.
Distinguo due tipologie principali di riunioni:
Riunioni (o fasi) esplorative, dove analizziamo un problema, cercando il parere e l'opinione dei partecipanti. Le azioni da compiere non sono pre-decise, ma emergeranno dall'esplorazione. Nelle presentazioni, nei talk nei discorsi, questo si traduce nel permettere al pubblico di riflettere e ragionare sulla propria esperienza personale grazie alle nostre parole.
Riunioni (o fasi) informative, dove l'obiettivo è informare su qualcosa e indicare le azioni che devono essere compiute (ad esempio, per conformarsi a una normativa). Le azioni sono già confezionate. Nelle presentazioni, nei talk nei discorsi l'intento informativo è pervasivo. Ogni parte, anche quella che aiuta a ragionare e riflettere, da informazioni. Queste possono contemplare storie, dati, aneddoti, teorie o più in generale i concetti a supporto della nostra idea.
Attenzione a non mascherare una riunione informativa come esplorativa, chiedendo pareri quando le decisioni sono già state prese. Questo mina la fiducia e la disponibilità alla collaborazione.
Le azioni stesse, come suggerisce Brian Tracy, possono essere di 4 tipi:
Cominciare a fare qualcosa.
Smettere di fare qualcosa.
Continuare a fare qualcosa aumentandone la frequenza.
Continuare a fare qualcosa diminuendone la frequenza (utile quando non si può interrompere un'azione problematica immediatamente, ma si attende di sostituirla).
3. Come comunicare un'azione per aiutare chi ascolta a compierla.
Per comunicare efficacemente le azioni, ti consiglio di focalizzarti su 3 caratteristiche chiave:
Precisione: l'azione deve essere descritta in modo puntuale specificando quando e dove deve essere compiuta, il perché (che è implicito nel referente e nell'obiettivo, ma utile da richiamare), e soprattutto il come, cioè la sequenza di passaggi.
Pulizia: comunica l'azione una sola volta, in modo netto e semplice. Evita di ripetere la stessa azione con parafrasi o modi leggermente diversi, perché questo può generare confusione nel tuo interlocutore, che si chiederà se non ha capito o se stai solo ripetendo la stessa cosa (e perché mai tu lo stia facendo).
Responsabilità: deve essere chiaro chi deve compiere l'azione. La responsabilità è fondamentale perché facilita la comprensione di cosa sarà successo nel caso in cui le azioni non vengano compiute. Un'azione o si compie o non si compie: "fatta male" significa "non fatta" o "fatta in altro modo".
In sintesi, niente giri di parole, dritto al punto.
Buona pratica.
20. Creare e gestire relazioni professionali migliori.
Come costruire relazioni professionali efficaci e autentiche. Il segreto sta nella capacità di trasformare l'interlocutore nel proprio miglior consulente. Lo scopo è ridurre la fatica per ottenere la migliore collaborazione professionale con clienti e collaboratori.
Come costruire relazioni professionali efficaci e autentiche. Il segreto sta nella capacità di trasformare l'interlocutore nel proprio miglior consulente. Lo scopo è ridurre la fatica per ottenere la migliore collaborazione professionale con clienti e collaboratori.
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Vediamo come impostare una relazione professionale efficace, basata su una sincera relazione umana, che ci permetta di ottenere risultati e la migliore collaborazione. Questa è la puntata numero 20 del podcast Public Speaking Pratico, la quarta di una serie dedicata al sistema RORA, te lo spigo qui.
Due esempi di frasi che possono compromettere la relazione professionale.
ESEMPIO 1
"Prima di dirvi che cosa penso, vorrei sapere cosa ne pensate voi."
Perché è un errore: questa frase, pur animata da buone intenzioni, condiziona subito le persone. L’interlocutore percepirà che la parte più importante è il pensiero di chi pronuncia la frase, rendendo la sua opinione subordinata al timore o al desiderio di compiacerlo.
Il problema è il condizionamento: nel caso si stia discutendo di un qualche errore o problema, se condizioniamo il pensiero dei nostri collaboratori o clienti, anche involontariamente, rischiamo che la prossima volta il problema si ripeta o si ingigantisca, perché non avremo capito la vera dinamica in modo puro.
La nostra opinione teniamola per noi, sin dall'inizio: ovviamente formuliamo ipotesi sui fatti che accadono, è naturale. Ma il vero lavoro è trasformare gli altri in consulenti. Significa raccogliere le loro informazioni, metterle a confronto le une con le altre per avere la possibilità di formulare un parere personale puro.
ESEMPIO 2
"Non sto cercando un colpevole, voglio che capiamo insieme che cosa è successo."
Perché è un errore: la prima parte della frase, "Non sto cercando un colpevole," solleva il dubbio che chi parla, in realtà, lo stia cercando. È una frase inutile, fuori luogo, a meno che qualcuno non abbia già paventato la ricerca di un colpevole.
Il "voglio": il verbo servile in questo caso asservisce l'opinione delle persone al volere di chi sta parlando. Le persone possono desiderare di compiacere questa persona anche involontariamente. Ci troviamo di fronte ad un atto di potere esplicitamente espresso.
La parte più opportuna è "capiamo insieme": l'obiettivo dovrebbe essere semplicemente "Capiamo insieme che cosa è successo". Focalizzarsi su questo è prioritario.
Come impostare una comunicazione efficace e una relazione sincera:
Il metodo RORA ci guida in quattro passaggi fondamentali:
Le buone Ragioni / fatti: inizia sempre dallo stato dell'arte iniziale, dai fatti, dai dati incontrovertibili. Se una scadenza non è stata rispettata, parti da quello. Se i clienti si lamentano, parti da quella segnalazione. Se hai delle precisazioni, mettile qui, insieme ai fatti.
L'Obiettivo: comunica chiaramente dove volete arrivare, qual è lo scopo generale. L'obiettivo è più astratto delle singole azioni. Ad esempio, "dobbiamo capire cosa non ha funzionato nel nostro meccanismo".
La Relazione: è il cuore della comunicazione e di cui parliamo qui. In concreto si traduce in:
Trasforma l'interlocutore nel tuo miglior consulente: chiedi la loro reale opinione. Loro ti daranno informazioni vitali per esprimere il tuo parere, perché se avessi già tutte le risposte, sarebbe una presa in giro chiedere.
Relazione a pari livello umano: anche se i ruoli professionali vanno sempre tenuti ben presente (se tu sei il responsabile del progetto, per esempio, lo sei tu e non lo sono altre persone, che avranno altre responsabilità), la relazione umana ti mette allo stesso livello degli altri. Questo non significa essere amici, ma dare pari dignità alle persone sul piano umano.
Evita ogni condizionamento: non condizionare il pensiero dei tuoi collaboratori o clienti. È fondamentale per capire davvero cosa è successo. L'ho spiegato negli esempi qui sopra, lo spiego più approfonditamente nel podcast qua sopra che ti invito ad ascoltare.
Ascolto vero e non giudicante: ascolta con sincerità, senza "ma". Focalizza il tuo ascolto sull'interlocutore, spostando il focus da te stesso ai tuoi interlocutori: il risultato è una relazione gestita in modo più sciolto e semplice. In altri termini: meno stress.
Adotta la "postura dell'ignaro": agisci come se tu non fossi presente e volessi sapere cosa è successo. Chiedi semplicemente.
"Smontate il giocattolo": immagina l'accaduto come un meccanismo. Non demolirlo, ma smontane i pezzi, analizzateli insieme, guardate le combinazioni. Questo è giocare a carte scoperte.
Usa azioni di contatto: frasi come "se ho capito bene..." o "ho capito che..." servono a ristabilire il contatto e a verificare l'allineamento, mantenendovi sulla stessa pagina. Fai una sintesi per dimostrare di aver capito, ma evita di ripetere i dettagli non essenziali.
La relazione non è un contorno sentimentale: non si tratta di essere "carini" o “buone persone”. Si tratta di credere davvero nel bene dei tuoi collaboratori e clienti, perché questo porta beneficio a tutti.
La relazione riduce la fatica: quando gli altri diventano i tuoi consulenti, ti evitano di dover spiegare, giustificare o portare subito la soluzione. Fai domande e lascia che siano loro a darti le risposte.
L'Azione: è l'ultimo passaggio, quello che conclude e attualizza gli obiettivi. Non anticipare l'azione, perché la relazione ne risulterebbe subordinata e condizionata.
Cosa significa che clienti e collaboratori diventano i nostri migliori consulenti?
Quando parlo di trasformare collaboratori o clienti nei tuoi migliori consulenti, intendo un approccio preciso che ti permette di andare dritto al punto e ottenere risultati concreti. Il vero fulcro non è che loro siano formalmente consulenti, ma che tu li faccia diventare tali chiedendo la loro vera opinione.
Questo significa innanzitutto che la tua opinione, per quanto tu sia intelligente e abbia già delle ipotesi, la tieni inizialmente per te. Se avessi già tutte le risposte, chiedere la loro sarebbe una presa in giro, una mera formalità. Invece, l'obiettivo è raccogliere quante più informazioni possibili da loro. Ti do pari dignità, mettendoti sullo stesso livello umano, pur nel rispetto dei ruoli professionali.
Così facendo, saranno loro a fornirti informazioni vitali che ti serviranno a formare un tuo parere definitivo in quanto responsabile o consulente a tua volta. Potrai così confermare le tue ipotesi iniziali o, magari, accorgerti che ti mancavano alcuni dati e che la tua prima idea era sbagliata. Non condizionare il loro pensiero è cruciale, perché solo così capirai davvero cosa è successo, evitando che il problema si ripeta o ingigantisca.
La bellezza di questo approccio è che ti riduce la fatica. Non devi più spiegare, giustificare o portare immediatamente la soluzione. Invece, fai domande e lasci che siano loro a darti le risposte. I tuoi collaboratori e i tuoi clienti ti saranno riconoscenti, sentendo che hai davvero utilizzato, cavalcato e "cucinato" gli "ingredienti" che ti hanno offerto. È un ascolto vero e non giudicante, che ti permette di smontare il giocattolo – ovvero analizzare un meccanismo che non ha funzionato, come se lo stessi separando in pezzi per comprenderne le combinazioni – senza demolirlo, ma esaminandone i singoli componenti insieme a loro.
Ti suggerisco di fare esperimenti: distribuisci chiaramente i contenuti della tua comunicazione, parti dai fatti, stabilisci l'obiettivo, costruisci la relazione, e solo dopo ragionate insieme sulle azioni concrete da fare.
Buona pratica.
19. Per comunicare bene definiamo l'obiettivo della comunicazione.
Definire l'obiettivo della tua comunicazione ti permette di sconfiggere il "mostro mitologico" delle interazioni inefficaci, risparmiando tempo ed energie tue e degli altri. Lo scopo è trasformare ogni conversazione, riunione o presentazione in un'opportunità per raggiungere risultati concreti e verificabili.
Definire l'obiettivo della tua comunicazione ti permette di sconfiggere il "mostro mitologico" delle interazioni inefficaci, risparmiando tempo ed energie tue e degli altri. Lo scopo è trasformare ogni conversazione, riunione o presentazione in un'opportunità per raggiungere risultati concreti e verificabili.
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Spesso, le conversazioni, le presentazioni e soprattutto le riunioni si trasformano in un "mostro mitologico", con "tante teste e nessuna direzione". Questo mostro divora tempo ed energie senza portare a nulla di concreto, lasciandoti con una sensazione di frustrazione e la domanda: "Qual era il punto?". Questa sensazione nasce quasi sempre da una mancanza precisa: l'assenza di un obiettivo chiaro.
L'obiettivo è la destinazione segnata sulla mappa. Se la "buona ragione" (il punto di partenza incontrovertibile, lo stato iniziale dell'arte, come la frustrazione di un collaboratore o un problema esistente) è la bussola che ti dice da dove parti, l'obiettivo ti indica dove devi andare. Senza questa chiarezza, sei destinato a vagare nel vuoto e alla deriva.
> L’obiettivo è il secondo fattore del sistema RORA > te lo spigo qui
1. Definire un obiettivo.
Definire l’obiettivo non è un dettaglio, ma l'atto di responsabilità più importante per comunicare bene.
È il criterio che guida ogni scelta successiva nella tua comunicazione: la durata, il tono, le parole, i dettagli da includere o omettere. Se l'obiettivo è informare, la comunicazione sarà in un modo; se è convincere, in un altro; se è motivare, in un altro ancora. Senza un obiettivo, rischi di creare un "polpettone di informazioni", lasciando tutto informe.
È fondamentale distinguere l'obiettivo dall'ordine del giorno di una riunione. L'obiettivo è la direzione precisa, come "Siamo qui per decidere X" o "Usciremo da questa stanza con un piano per Y".
Considera l'esempio di Paolo, un consulente innamorato del suo prodotto. Quando presentò il software al direttore IT di una grande azienda manifatturiera, il suo obiettivo avrebbe dovuto essere allineato con quello del direttore: stabilità, sicurezza e integrazione felice con i sistemi esistenti. Invece, Paolo si lasciò prendere dall'entusiasmo e spiegò per dieci minuti una complessa funzionalità futura basata sull'intelligenza artificiale. Questo fu un errore: quell'informazione era irrilevante per l'obiettivo del suo interlocutore, che cercava una soluzione stabile per un problema attuale. Così facendo, Paolo non solo fece percepire il prodotto come più complesso (e meno stabile) di quanto fosse, ma comunicò anche di non aver ascoltato il bisogno reale del cliente. Il suo obiettivo, "mostrare quanto siamo bravi e innovativi", non era congruente con quello del direttore IT. È normale perdersi nei dettagli quando si è appassionati, ma questo può portare a sprecare energie preziose e a parlare per sé stessi, non per l'interlocutore. È essenziale valutare sia il tuo obiettivo che quello di chi ti ascolta.
Nel podcast qui sopra analizzo ancheil caso Giulia: preda del loop di un partecipante alla riunione di team.
Una trappola comune è confondere l'obiettivo con il voler avere ragione, specialmente nei disaccordi o conflitti. Quando la discussione si scalda, la pulsione immediata è dimostrare che la propria posizione è quella giusta. Ma così facendo, si perde di vista il vero obiettivo della situazione.
L'obiettivo si sposta sul vincere una "battaglia verbale", il che è sbagliato, perché i conflitti, se ben gestiti, dovrebbero essere generativi e creativi, non guerre. Per un manager o un professionista, l'obiettivo non può essere quello di avere ragione; è sempre migliorare la comunicazione per migliorare la collaborazione.
2. Come si definisce un obiettivo che sia una vera guida?
Con la semplicità. Prima di ogni comunicazione importante (telefonata, riunione, email, confronto), o anche durante, valuta l'obiettivo. Se hai tempo, scrivilo: "Qual è l'obiettivo di questa comunicazione? Dove punta il mirino?". Il consiglio è di esprimere l'obiettivo con un massimo di 10 parole. Se non riesci a essere così sintetico, probabilmente l'obiettivo non è ancora chiaro a te stesso. Se non è chiaro per te, come potrà esserlo per gli altri?. L'obiettivo deve essere "opportuno", deve condurti a un porto sicuro, e a volte per raggiungerlo, devi lasciare andare discussioni che rischiano di farti deviare.
2 esempi concreti di obiettivi "chirurgici":
per una riunione decisionale: "Uscire da qui con la decisione finale sul fornitore". Questo obiettivo non lascia spazio a dubbi e rende tutti responsabili.
per una chiamata di allineamento con un cliente: "Concordare i prossimi tre passi operativi del progetto". Non un generico "allineiamoci" (che è la buona ragione di partenza), ma un risultato tangibile e misurabile.
nel podcast qui sopra faccio altri esempi, ascoltalo!
In sintesi, definire l'obiettivo è l'atto di chiarezza che ti permette di smettere di creare "mostri mitologici" e di iniziare a costruire conversazioni davvero efficaci. Questo significa anche rispettare il tuo tempo e quello delle persone con cui lavori, un valore fondamentale nella comunicazione.
Buona pratica.
18. Perché hanno ragione anche quando hanno torto.
Come sbloccare le conversazioni difficili e gestire i conflitti nel tuo ambiente professionale per migliorare la comunicazione e ottenere una migliore collaborazione con clienti, colleghi e collaboratori.
Come sbloccare le conversazioni difficili e gestire i conflitti nel tuo ambiente professionale. Imparerai a distinguere l'avere ragione dall'avere una buona ragione. Vedremo in che cosa davvero le persone possono avere torto quando comunicano. Lo scopo: migliorare la comunicazione e ottenere una migliore collaborazione con clienti, colleghi e collaboratori.
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Abbiamo tutti in mente una conversazione che ci ha lasciato con l'amaro in bocca. Un collega, un cliente, un collaboratore che, dal nostro punto di vista, ha "torto marcio". La nostra reazione impulsiva è quella di affermare la nostra posizione, di dimostrare l'errore altrui. Ma questo, quasi sempre, porta a un'escalation di frustrazione che blocca ogni possibilità di collaborazione.
E se esistesse una leva più potente? Uno strumento controintuitivo per sbloccare queste situazioni, trasformando un potenziale scontro in un'opportunità? Questo strumento è contenuto in un paradosso: capire perché gli altri hanno ragione, anche quando palesemente hanno torto.
Analizziamo insieme questo meccanismo per renderlo un tuo strumento operativo.
1. Avere ragione vs. avere una buona ragione: la distinzione chiave.
Spesso confondiamo due concetti molto diversi: avere ragione e avere una buona ragione.
• Avere ragione implica un giudizio di valore: è giusto o sbagliato.
• Una buona ragione, invece, non è necessariamente giusta, ma è sufficiente a spiegare perché una persona fa o dice qualcosa.
Se ti pesto un piede e tu reagisci dandomi un pugno, la tua reazione non è giusta, ma il mio pestone è una buona ragione che la spiega. Allo stesso modo, la stanchezza, la frustrazione o una paura sono tutte buone ragioni che motivano i comportamenti. La buona ragione è un fatto, un dato di partenza. Negarla o giudicarla è inutile; osservarla e comprenderla è il primo passo per riprendere il controllo della comunicazione.
2. Dal giudizio all'indagine.
Marco, un project manager mio cliente, era costantemente frustrato da Luca, un designer di grande talento ma caotico, che lavorava sempre a ridosso delle scadenze. Dal punto di vista di Marco, Luca aveva torto perché non rispettava i tempi interni, creando problemi al flusso di lavoro.
• L'approccio basato sul "torto": In passato, Marco affrontava Luca frontalmente: "Sei di nuovo in ritardo, questo modo di lavorare è inaccettabile!". Il risultato era uno scontro il cui unico fine era stabilire chi avesse ragione, non migliorare la collaborazione.
• L'approccio basato sulla "buona ragione": Insieme, abbiamo cambiato leva. Invece di contestare il comportamento, Marco ha iniziato a indagare sulla buona ragione di Luca. Gli ha chiesto: "Ho notato che lavori molto negli ultimi giorni prima della scadenza. Forse questo metodo ti aiuta a essere più creativo, lavori meglio con l'adrenalina?".
Questa domanda ha cambiato tutto. Non era un giudizio, ma un tentativo di comprensione. Luca, sentendosi capito e non attaccato, ha ammesso che le scadenze intermedie lo bloccavano e che aveva bisogno del "caos" e dell'adrenalina per dare il meglio.
La conversazione si è spostata dal conflitto ("Chi ha torto?") alla risoluzione del problema ("Come facciamo a far convivere il mio bisogno di ordine con il tuo bisogno di flessibilità creativa?").
3. Disinnescare l'aggressività.
L'aggressività di un interlocutore è una delle sfide più difficili. Chiara, una consulente in change management, si è trovata in questa situazione. Durante la presentazione di un nuovo software, un capo reparto con 30 anni di anzianità l'ha interrotta a voce alta, accusando il progetto di essere "l'ennesima perdita di tempo".
• La reazione istintiva: Sarebbe stata quella di difendersi, di dimostrare che "questo progetto è diverso". Un errore che avrebbe solo alimentato lo scontro.
• La leva della "buona ragione": Chiara ha capito che quell'aggressività non era un attacco personale, ma un sintomo. Un sintomo di esperienze passate negative, della paura di un altro fallimento. L'uomo aveva torto nei modi, ma aveva le sue buone ragioni per sentirsi così.
La sua risposta ha disinnescato la bomba: "Mi sembra di capire che in passato qui in azienda ci siano state delle esperienze che hanno reso il lavoro più difficile invece di migliorarlo. È così?". Con questa mossa, Chiara ha legittimato l'emozione dell'uomo, gli ha dimostrato di averlo ascoltato e lo ha trasformato in un alleato.
Il mio consiglio: la prossima volta che ti trovi in un disaccordo, fermati un istante.
Invece di lottare per dimostrare di avere ragione, usa la curiosità. Puoi chiederti: "Qual è la buona ragione dietro le sue parole o le sue azioni?". Ecco una potente leva che sblocca i conflitti e riapre la porta alla collaborazione.
Buona pratica.
17. Smetti di pensare a cosa dire. Inizia a capire cosa serve all’interlocutore.
Per aiutare gli altri a comprendere davvero il nostro messaggio, ecco l’approccio RORA = ragione, obiettivo, relazione, azione.
Per aiutare gli altri a comprendere davvero il tuo messaggio, devi prima capire che cosa serve a loro, di che cosa hanno bisogno, cosa cercano e cosa osservano mentre comunichi. Ribaltiamo il classico pensiero: spostare il focus da "cosa dire" a "come posso aiutare chi ho di fronte a capire meglio?".
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Spesso, quando dobbiamo prendere parola – che sia per una presentazione, un'interazione, o per rispondere a obiezioni – la domanda che ci poniamo è: "E adesso cosa dico?". Questa domanda, pur non essendo sbagliata di per sé, può portare a confusione e generare un senso di prestazionalismo, dove l'obiettivo diventa solo quello di dimostrare la tua bravura o intelligenza. Nasce spesso da una sensazione di non essere all'altezza, una vera e propria trappola in cui tutti possiamo cadere.
Per affrontare questa paura e migliorare la tua comunicazione, ecco l'approccio RORA, una sequenza logica in quattro tappe che puoi utilizzare ogni volta che affronti una conversazione o una presentazione, liberandoti dal terrore di non trovare i concetti giusti. RORA sta per:
Ragione
Obiettivo
Relazione
Azione
Questo approccio pone la relazione umana al centro di tutto. Ti permette di cambiare il modo di prendere parola e ti aiuta anche a improvvisare quando non hai avuto modo di prepararti, una situazione sempre più frequente.
Vediamo nel dettaglio ciascun elemento:
Ragione
Questo è il punto di partenza cruciale. La ragione deve essere un dato incontrovertibile, un'osservazione della realtà generale o soggettiva che non può essere messa in discussione. Se tu dici "io sento freddo", nessuno può contestarti questa sensazione personale, a differenza di un'affermazione generica come "qui dentro c'è freddo".
Iniziare da una buona ragione, come le preoccupazioni o i dubbi del tuo interlocutore, apre l'ascolto e rende più facile la comprensione del tuo messaggio. Al contrario, portare subito la tua tesi o la tua richiesta (l'azione) è rischioso, perché può dividere l'uditorio e indurlo a chiudersi all'ascolto prima ancora di capire il perché della tua proposta. La buona ragione motiva la tua comunicazione.
Obiettivo
Dopo aver stabilito la ragione, devi chiarire l'obiettivo della tua comunicazione. Non si tratta solo di comunicare, ma di farlo per uno scopo specifico, che risponda alla ragione iniziale. L'obiettivo può essere tuo oppure delle persone in ascolto.
Relazione
Questo è il momento di riconnetterti con la persona o il gruppo. Si tratta di mostrare attenzione e sensibilità verso lo stato d'animo e le difficoltà degli altri. La comunicazione diventa a doppio senso, chiedendo conferma e coinvolgendo attivamente l'interlocutore, piuttosto che essere un monologo. È qui che si costruisce la sintonia.
Azione
Solo alla fine arriva la richiesta concreta o la proposta di azione. Formulando la tua richiesta in questo modo, essa risulta precisa, facilmente comprensibile e accolta con più facilità perché è preceduta da una buona ragione, un obiettivo chiaro e una relazione stabilita.
L’approccio RORA è un modo di ragionare e riflettere prima ancora di comunicare, un approccio mediato particolarmente utile nelle situazioni di improvvisazione, conflitto, o difficoltà. Ti aiuta a chiarire gli aspetti partendo dalle buone ragioni dei tuoi interlocutori, definendo un obiettivo comune, curando la relazione e infine arrivando ad azioni concrete e tangibili.
Ascolta il podcast qui sopra, dove trovi tre esempi di applicazione dell’approccio RORA.
Nelle prossime quattro puntate, continueremo questo percorso, esplorando nello specifico ciascuno di questi quattro passaggi del RORA, partendo dalla Ragione, il vero motore silenzioso di ogni comunicazione efficace.
16. 3 fattori per comunicare con sicurezza ed efficacia.
Comunicare con sicurezza ed efficacia si fonda su tre fattori: parole, espressività e, cruciale, l'intenzione. L'intenzione regola il lavoro sulle parole e sulla espressività.
Per comunicare con sicurezza ed efficacia, i tre fattori chiave sono parole, espressività e, soprattutto, una chiara intenzione. Quest'ultima è la tua bussola, essenziale per superare le insicurezze e ottenere l'effetto desiderato sull'interlocutore.
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Per comunicare con sicurezza ed efficacia 3 sono i fattori da considerare sempre. Sono strettamente intrecciati: le parole, l'espressività e, soprattutto, l'intenzione. Quest'ultima è la bussola della tua comunicazione, la vera chiave per superare le insicurezze e ottenere l'effetto desiderato sull'interlocutore.
Il vero nocciolo del problema: l'intenzione.
Troppo spesso, ricevo messaggi da persone che detestano la propria espressività, la voce che sentono "non bella", la gestualità che trovano rigida o monotona. Tutto questo porta a un profondo senso di insicurezza e inadeguatezza, la famosa sindrome dell'impostore, dove temi il giudizio degli altri non tanto su ciò che dici, ma sulla tua persona. Ti prendi cura di ciò di cui non dovresti curarti.
Queste insicurezze sono solo una proiezione delle tue paure sugli interlocutori. È come se un proiettore mentale disegnasse sul loro volto le tue stesse ansie. La soluzione? Spegnere quel proiettore e focalizzarti sull'intenzione.
L'intenzione: la tua bussola.
L'intenzione è la buona ragione per cui dici le cose che dici alle persone a cui le dici. È il perché profondo della tua comunicazione.
Puoi avere le parole più belle e l'espressività più coinvolgente, ma senza una chiara intenzione, tutto è vano. L'intenzione ti permette di declinare le parole in modo intelligente e sentirti automaticamente più sicuro, prendendoti cura di ciò che conta davvero.
Ti invito a farti tre domande sull'intenzione, fondamentali prima di ogni tua comunicazione:
Che cosa stai guardando?
Il mio suggerimento: non guardare il risultato finale – per esempio, la vendita – mentre stai parlando. Se sei un consulente finanziario che spiega il risparmio gestito, il tuo obiettivo in quel momento non è vendere, ma spiegare il risparmio gestito. Quando un venditore guarda solo la vendita, tu cliente diventi un mero oggetto di mercato, e questo si percepisce. La tua attenzione deve essere sul contenuto che stai portando, nel momento in cui lo stai portando.Come lo stai guardando?
Questo riguarda il tuo ruolo professionale. Sei un consulente finanziario che tenta di fare il docente? Se ti poni in un ruolo che non è il tuo, ti sentirai stressato e insicuro, perdendo efficacia. Devi chiederti chi sei, cosa fai e cosa puoi fare per le persone.Perché stai guardando ciò che stai guardando?
Qui entriamo nel profondo. Il perché è la ragione che ti spinge a comunicare. Vuoi differenziarti, esprimere la tua opinione, essere riconoscibile, lasciare un segno? Tutte queste motivazioni, che affondano spesso nella tua dimensione psichica, nella tua storia di vita, possono essere potenti, ma se non le riconosci, rischi di deviare, di andare fuori tema. Non puoi portare le tue dinamiche interne di crescita personale nel momento della comunicazione professionale, perché distrarrebbero il pubblico. La sede per questo è un'altra.
Le parole: il "che cosa".
Le parole sono il "che cosa" dici, i concetti che mandi, il messaggio chiave. Hai già i tuoi concetti, te ne occupi ogni giorno. Il vero lavoro è vederli, selezionare quelli davvero importanti in base alla tua intenzione e poi organizzarli, strutturando la tua presentazione o interazione in funzione dell'intenzione stessa.
I concetti sono i pilastri della tua idea centrale, la tua tesi.
L'espressività: il "come sto comunicando".
L'espressività è il "come" dici le cose. Da non confondersi con il come stai guardando ciò che stai dicendo in ragione dell'intenzione (vedi sopra).
Tanti si focalizzano sull’espressività. Con il rischio di sentirsi inadeguati soprattutto quando pensano a modelli che ammirano.
Quando l'espressività diventa la preoccupazione principale, il vero problema è la mancanza di chiarezza nell'intenzione. L'espressività non deve essere mai la prima cosa a cui pensi mentre comunichi.
Tuttavia, è fondamentale lavorarci prima o parallelamente alle tue interazioni. È importante:
conoscere le tecniche per rendere ogni presentazione più piacevole e coinvolgente, per volgere le persone verso la tua idea;
trovare la tua espressività unica e irripetibile. Esprimere significa premere fuori qualcosa da te stesso. Sii consapevole di come il tuo tono e il tuo corpo cambiano in base all'argomento o all'emozione. Questo è il tuo modo autentico.
ASCOLTA ANCHE > Comunicare e parlare in modo originale e autentico.
15. Come gestire i disaccordi: impariamo a smontare le conversazioni.
Per ridurre incomprensioni e conflitti serve definire bene i confini delle reciproche responsabilità: a ciascuno le sue. Ecco come farlo in modo leggero, semplice ed efficace.
Quando ci assumiamo responsabilità che non ci competono proviamo un senso di pesantezza mentale ed emotiva.
Imparare a smontare le conversazioni può darti più leggerezza e lucidità, potenziando la tua efficacia comunicativa e le relazioni professionali.
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Spesso, dopo una riunione tesa o una discussione con i colleghi, proviamo una pesantezza mentale ed emotiva. Una delle cause può essere un conflitto con gli interlocutori. Accade specialmente se un disaccordo è gestito male e ci porta a sentirci sovraccarichi, come se il peso dell'intera interazione fosse solo sulle nostre spalle.
Si rende necessario imparare a definire bene i confini delle nostre responsabilità e quelle degli altri. La nostra maggiore fonte di stress nasce quando ci assumiamo responsabilità che non ci competono e quando non permettiamo agli altri di prendersi le proprie.
Immagina un disaccordo come un giocattolo, un meccanismo che non funziona. La reazione istintiva è forzarlo o demolirlo, ma questo peggiora le cose e rischia di distruggere la relazione. Ti propongo l'approccio dell'artigiano curioso: smontare con cura il "giocattolo" della conversazione, pezzo per pezzo, per capire quale rotellina non gira. Questo è un processo di indagine, scientifico, per capire cosa stia accadendo nel conflitto, che è una semplice mancanza di congruenza tra le parti.
Vediamo come fare in quattro passi cruciali:
1. Smontare il disaccordo e osservare i dati: il primo errore è percepire un disaccordo come una contestazione personale. Se stiamo lavorando su un progetto, occupiamoci di quel tema specifico. Prendi l'esempio di un manager che chiede una "brochure semplice" e riceve un libretto di 12 pagine. Invece di proiettare frustrazione o rabbia, puoi lavorare sui dati oggettivi.
Il mio consiglio di evitare di interpretare ("forse era abituato a standard più alti"), e rimanere sui fatti: "Ti ho chiesto una brochure semplice... e ne ho ricevuta una di dodici pagine". Non stai accusando, ma osservando una differenza tra richiesta e risultato.
2. Esaminare la rotellina delle nostre emozioni: le nostre emozioni di disagio, irritazione o rabbia vanno riconosciute, non proiettate fuori o soffocate. Riappropriati del tuo sentire: invece di dire "Mi hai ignorato", puoi esprimere la tua sensazione: "Mi sento un po' confuso, non sto capendo cosa sia successo".
Le tue sensazioni sono verità inoppugnabili; nessuno può controbattere. Prendendoti la responsabilità della tua emotività, ma senza gettarla sull'altro, stai implicito dicendo: "Siccome sono confuso, adesso ho bisogno di fare chiarezza".
3. Assumere la postura dell'ignaro: questo è un potente cacciavite di precisione per disinnescare i disaccordi. "Ignaro" non significa stupido. Significa assumere una posizione mentale di chi non dà nulla per scontato. L'obiettivo è capire sinceramente le ragioni altrui.
Quando ricevi una domanda che sembra un giudizio ("Vedo che ha cambiato tre aziende... cerca stabilità, forse"), la reazione automatica è giustificarsi o irritarsi. Invece ciò che puoi fare è restituire la palla: "C'è qualcosa di specifico che vuole capire su questa motivazione?". Ora sta di nuovo all'interlocutore giocarsela. Non c'è aggressività, ma una legittima richiesta di capire lo scopo.
Costringi l'altra persona a prendersi la responsabilità della propria domanda.
4. Rimontare il giocattolo: il riepilogo per l'allineamento: questo passo è fondamentale e andrebbe fatto continuamente. Il riepilogo è lo strumento per capire… se ci stiamo capendo. Per capire se siamo allineati sui contenuti.
Puoi usare frasi come "Se ho capito bene" o "Voglio essere sicuro di aver capito". L'obiettivo non è dimostrare intelligenza, ma assicurarsi di essere allineati.
Se senti un disagio, hai il diritto e il dovere di fermare il gioco e dire: "Ho bisogno di chiarire una cosa per me". La responsabilità di chiedere maggiore chiarezza è nostra; poi passeremo la palla all'altra persona per verificare l'allineamento.
Quando ci prendiamo la responsabilità del nostro sentire e del nostro capire, smettiamo di farci carico delle intenzioni altrui, che non possiamo conoscere. In altri termini ognuno si prende la responsabilità delle proprie intenzioni, pensieri, parole e azioni. Questo metodo scientifico ti regala la possibilità di più leggerezza e lucidità.
Smontare il giocattolo permette di ottenere maggiore efficacia comunicativa e potenzia la relazione professionale.
La vera responsabilità non è portarsi il mondo intero sulle spalle, ma portare con leggerezza solo il proprio pezzo di responsabilità e lasciare agli altri lo spazio e la dignità di fare lo stesso, prendendosi le proprie.
14. Trasformare clienti e collaboratori in nostri consulenti.
Trasforma clienti e collaboratori nei tuoi migliori consulenti, ottenendo una collaborazione reale e semplificando il tuo lavoro.
La comunicazione assertiva, da sola, è poco e rischia di creare una pericolosa asimmetria con chi ti ascolta.
Vediamo la strategia per trasformare clienti e collaboratori nei tuoi migliori consulenti, ottenendo una collaborazione reale e semplificando il tuo lavoro.
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Ci hanno sempre detto che per essere efficaci nel lavoro dobbiamo essere assertivi: chiari, diretti, capaci di affermare le nostre idee. Tutto giusto. Ma se questa ricerca dell'assertività, da sola, fosse una trappola?
Se, nel tentativo di affermare noi stessi, finissimo per creare un muro con i nostri clienti e collaboratori, rendendoli passivi e prendendoci sulle spalle una fatica immane?
Quando parlo di comunicazione asimmetrica non intendo solo la differenza fra chi parla e chi ascolta. Il problema è più profondo: l'asimmetria nasce quando una persona, consapevolmente o no, si pone in uno stato di superiorità rispetto all'altra.
Si crea una dinamica in cui c'è chi si sente più forte, più competente, e di conseguenza mette l'altro in una posizione di subalternità. Qualcuno sta sopra, e qualcuno sta sotto. Questa non è una relazione, è un rapporto di potere. Il cliente non si sente ascoltato e il collaboratore non si sente valorizzato. Il risultato? Incomprensioni, fatica e risultati mediocri.
Ma c'è un'alternativa, un cambio di prospettiva che io chiamo la Strategia della cordata. (qui te la spiego nei dettagli)
I nostri clienti e i nostri collaboratori sono i nostri migliori consulenti.
Chi meglio di clienti e collaboratori conosce il problema, il contesto, le necessità reali che vivono?
Noi abbiamo la nostra conoscenza specialistica, ma loro possiedono le informazioni più preziose. Il nostro compito è di creare le condizioni perché siano loro a guidarci verso la soluzione migliore. La comunicazione assertiva va bene, è una base, adesso è il momento di cominciare a collaborare davvero.
Come si fa, in pratica? Con due step fondamentali.
L'ascolto e il riepilogo: quando un cliente o un collaboratore ti espone un problema, la prima cosa da fare non è rispondere, ma ascoltare. E dopo fare una sintesi con le tue parole: "Ok, se ho capito bene, la situazione è questa...". Questo semplice atto è il primo chiodo che piantiamo nella roccia: dimostra che il nostro primo obiettivo è capire il loro mondo, non imporre il nostro.
La verifica e la responsabilizzazione: dopo il riepilogo, la domanda chiave è: "Ti torna?". Con questa semplice domanda, stai buttando la palla all'altro.
Non stai chiedendo un voto sulla tua bravura, ma gli stai conferendo il ruolo di esperto: ha vissuto la propria esperienza e ne è il miglior testimone.
Lo stai rendendo responsabile e partecipe della costruzione della soluzione. In quel momento, hai smesso di essere un semplice fornitore o un capo e hai iniziato a trasformarlo in un tuo consulente.
Quando applichi questo metodo, la dinamica cambia completamente. Non devi più spingere per farti valere, perché le idee si costruiscono insieme. La fatica si dimezza, la fiducia aumenta e le soluzioni diventano infinitamente più efficaci, perché nascono da una collaborazione reale.
La vera forza non sta nell'imporre la propria visione (il rischio dell’assertività mal applicata), ma nel creare una visione condivisa.
Per approfondire come applicare la strategia della cordata nella tua comunicazione di tutti i giorni, ascolta la puntata completa del podcast qui sopra.
13. Smetti di parlare bene. Inizia a farti capire.
La ricerca della perfezione nel parlare genera ansia. Serve un cambio radicale: il vero scopo è farti capire.
Ti spiego perché la ricerca della perfezione nel parlare genera ansia, proponendoti un cambio radicale: il vero scopo è farti capire, aiutando l'interlocutore a comprendere per prendere decisioni. Questo ti permetterà di comunicare con serenità e autenticità, concentrandoti sull'altro anziché sulla tua performance.
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Ecco la rivoluzione nel modo di comunicare: il mio consiglio è di smettere di voler "parlare bene" e iniziare invece a "farti capire".
So che questo può sembrare strano, dato che siamo stati educati a ricercare la perfezione nel linguaggio, ma è proprio questa ricerca della perfezione a generare ansia, inefficacia e a impedire che il messaggio arrivi.
Parlare bene è un'attività concentrata su di sé, mentre farsi capire si concentra sull'altra persona, ed è un atto di servizio. Se ti concentri troppo sulla tua performance o sulla forma, rischi solo di stressarti e perdere il contatto con chi ti ascolta. Tu non sei un attore; sei una persona che, come un mezzo, aiuta l'altro a comprendere meglio numeri, messaggi e informazioni.
Meglio l’autenticità.
Cercare di recitare una parte o ostentare una sicurezza che non senti è una fatica immensa e controproducente.
Essere se stessi, anche ammettendo professionalmente delle frustrazioni, crea una connessione basata sulla sincerità e mostra dedizione, non debolezza. La tua naturalezza e vitalità sono la tua migliore presa sulla roccia, non puoi scalare con le mani di un altro.
Tecniche pratiche.
Le tecniche pratiche devono essere al servizio della comprensione, non dell'estetica. La comunicazione è un'attività profondamente fisica, non solo mentale.
Non si tratta di fare gesti eleganti, ma di vivere il corpo come strumento per farsi capire meglio. Ogni gesto, pausa o movimento deve avere lo scopo di aiutare la comprensione di chi ascolta.
Queste sono 3 tecniche pratiche per utilizzare il corpo in modo strategico:
L'enumerazione: numerare i concetti con le dita in modo visibile aiuta a collocare le idee nello spazio, rendendole quasi palpabili per l'ascoltatore.
Le pause: sono vitali per concedere all'interlocutore il tempo fisico di elaborare un concetto prima di passare al successivo. La fretta è nemica della comprensione.
Il movimento e la gestualità: coinvolgere tutto il corpo permette alla tua espressività di emergere naturalmente. Puoi "collocare" i concetti nello spazio, mostrando fisicamente percorsi dal problema alla soluzione, facilitando così la comprensione. Noi italiani, in particolare, gesticoliamo naturalmente, e reprimerlo ci fa apparire innaturali.
Tutti questi strumenti – lo spostamento del focus, l'autenticità e le tecniche fisiche – hanno un unico scopo: aiutare chi ascolta a raggiungere la vetta della comprensione, insomma, aiutarli a capire il tuo messaggio.
12. Iniziare un discorso col botto grazie al silenzio.
Come iniziare un discorso senza usare le parole ma ottenendo subito l’attenzione più forte.
Ritengo il silenzio la strategia più potente per iniziare un discorso, catturando immediatamente l'attenzione del pubblico. Questo vuoto genera attesa, segnalando l'importanza di ciò che sto per comunicare e preparandoli all'ascolto. Ascolta nel podcast sopra come puoi applicarlo.
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Come catturare immediatamente l'attenzione del pubblico all'inizio di un discorso, una presentazione o un intervento: l'uso strategico del silenzio.
Siamo nel il momento che precede le parole: è lo spazio e il momento che fissa una relazione immediata con l'uditorio.
Perché funziona.
Il meccanismo psicologico del silenzio crea un "vuoto" che la natura umana tende a detestare e, di conseguenza, a voler riempire. Questo vuoto genera un'aspettativa nel pubblico, spingendolo a concedere la propria attenzione.
Ecco cosa puoi fare: tipo un silenzio davanti alle persone, magari sorridi anche con lo scopo di mandare un messaggio implicito e di basso costo energetico: "Ciò che sto per dire è così importante che merita questa attesa, merita questo silenzio".
Questo stabilisce una direzione immediata verso le parole che seguiranno, riconoscendo che il linguaggio articolato è l'elemento più significativo per la comunicazione umana: siamo tutti in attesa delle parole!
Come applicare la tecnica
La sequenza operativa è semplice e diretta:
Posizionati nel punto da cui si intende parlare.
Mantieni il silenzio.
Guarda le persone:
passando lo sguardo da un lato all'altro del pubblico se di alcune decine di persone o più;
guardandole una a una, se siamo davanti a circa una decina di persone o meno.
Una volta che hai percepito con chiarezza della presenza del pubblico, puoi finalmente iniziare a parlare.
Benefici e considerazioni
L'adozione di questa tecnica è estremamente coinvolgente.
Questo inizio silenzioso è sensato perché dirige immediatamente l'attenzione verso il contenuto principale o la tesi che desideri poi mandare al pubblico in ascolto.
Mi rendo conto che possa sulle prime risultare imbarazzante. Mi rendo conto che se non ha mai applicato questa tecnica potresti esserne scettico. Ma poiché la sperimentata più volte personalmente e la sperimentano e ormai utilizzano i miei clienti che sono stati in formazione con me - e i risultati sono potenti - ti suggerisco col cuore: provala! È l'unico modo per renderti conto quanto sia potente.
Provala!
11. Far riflettere il pubblico fin dall'inizio.
Per un coinvolgimento profondo possiamo aiutarlo a riflettere su stesso… senza nemmeno dirglielo. Lo facciamo e basta, ecco come.
Ti presento l'approccio per iniziare un intervento con lo scopo di innescare la riflessione, più che il ragionamento. Per un coinvolgimento profondo, presento situazioni in cui il pubblico possa riconoscersi, partendo dalla sua realtà e guidandolo alla mia tesi.
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Pongo una distinzione fondamentale tra un discorso che fa ragionare e uno che fa riflettere.
Il primo si rivolge alla logica, presentando una sequenza di pensieri guidati, dove A porta a B e così via. Le parole hanno lo stesso significato sia per chi parla che per chi ascolta.
La riflessione, invece, è un movimento interiore. Avviene quando l'ascoltatore si rivede nell'esperienza del relatore, come allo specchio. L'obiettivo di un inizio riflessivo non è convincere con la logica, ma agganciare il pubblico attraverso il rispecchiamento o il riconoscimento.
Per innescare questa riflessione, è cruciale presentare esempi o situazioni in cui il pubblico possa riconoscersi o rispecchiarsi, sentendo che "quella è la mia situazione".
Questo richiede la conoscenza approfondita del proprio pubblico e il coraggio di esporre affermazioni ed esempi che li tocchino nel profondo. L'approccio consiste nel partire dalla realtà dell'ascoltatore per poi guidarlo verso la propria tesi. Le storie sono uno strumento ideale per raggiungere questo scopo.
10. Raccontare una storia per iniziare una presentazione o un discorso
Come iniziare una presentazione, un discorso, un intervento, con un racconto per permettere al pubblico di elaborare autonomamente le emozioni e le riflessioni.
Per iniziare una presentazione, un discorso, un intervento, il racconto cattura l'attenzione introducendo un problema e la sua risoluzione. È fondamentale narrare la storia in modo neutro, senza recitazione o anticipazioni, per permettere al pubblico di elaborare autonomamente le emozioni e le riflessioni.
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Per iniziare una presentazione, un discorso o un intervento, il racconto è un metodo coinvolgente che cattura l'attenzione del pubblico, poiché tutti siamo naturalmente curiosi di conoscere lo sviluppo e la risoluzione di una vicenda che nasce da un problema.
La storia deve essere funzionale all'idea centrale della presentazione e non deve necessariamente essere la classica narrazione inflazionata del "viaggio dell'eroe" che, essendo ormai diffusa, rischia di risultare offensiva per l'intelligenza del pubblico e una perdita di tempo. (Tuttavia questo non significa che il viaggio dell'eroe non funzioni, anzi!)
Una storia può anche servire a presentare il relatore, fornendo un'immagine potente e memorabile anziché un tradizionale elenco di titoli o un CV.
Gli elementi strutturali di una storia efficace includono:
la situazione iniziale normale che viene interrotta da un problema;
una serie di tentativi da parte del protagonista per risolverlo;
la soluzione al problema, che può essere comunicata immediatamente dopo il racconto o sospesa fino alla fine della presentazione. Se sospesa, deve costituire un punto di svolta significativo, strettamente legato al messaggio centrale e non solo un espediente per mantenere l'attenzione.
È fondamentale che la storia abbia una collocazione temporale ("quando") e spaziale ("dove") precisa, poiché questi elementi funzionano da ancoraggi di chiarezza e devono essere funzionali al messaggio centrale.
Nel narrare, è cruciale evitare la recitazione o l'espressione diretta di reazioni emotive, poiché il pubblico preferisce elaborare autonomamente l'interpretazione emotiva della vicenda. Allo stesso modo, il mio consigliò di evitare anticipazioni o riflessioni successive maturate dopo l'evento, raccontando la storia in modo neutro.
"Neutro" non significa indifferente, ma implica non caricare il racconto di recitazione o di ragionamenti postumi, permettendo così al pubblico di divertirsi a caricarlo di proprie riflessioni e ragionamenti.
Ogni aspetto del racconto deve sempre convergere sull'idea centrale o sul messaggio chiave dell'intervento.
9. Cosa mettere in valigia per iniziare bene un discorso.
Un esordio troppo memorabile che eclissa il contenuto crea solo problemi. È cruciale che ogni parte del discorso, compreso l'inizio, converga sull'idea principale.
Domandarsi SOLO "come iniziare un discorso" può essere fuorviante. Un esordio troppo memorabile che eclissa il contenuto crea solo problemi. È cruciale che ogni parte del discorso, compreso l'inizio, converga sull'idea principale.
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Domandarsi come iniziare un discorso è una domanda potenzialmente fuorviante. Non considera il fattore più importante: il messaggio centrale.
Un inizio memorabile, purtroppo, spesso porta le persone a ricordarsi solo di quello, non del messaggio principale che si voleva trasmettere – sia esso un nuovo progetto, un prodotto o un servizio.
La chiave è che l'inizio della presentazione deve essere sempre subordinato al messaggio centrale. Come quando si prepara una valigia, non si pensa solo "cosa metto in valigia?", ma "dove e quando vado in vacanza?". Allo stesso modo, l'inizio dell'intervento dipende dal "dove e quando", ovvero dal messaggio che vogliamo inviare.
È cruciale fare una ricerca di idee che ruoti attorno a questo messaggio principale. Solo dopo averne generate molte, si potrà scegliere un'idea per cominciare, perché sarà intrinsecamente legata e subordinata al fulcro del discorso.
Il contrario, cioè partire da un inizio roboante per poi "declinare" il resto, sarebbe un lavoro sterile. Significa condizionare ogni argomentazione a favore di un inizio che, per quanto bello, non è radicato nell'idea centrale e può essere consigliato da chi non ha un interesse diretto nella sua efficacia.
Il messaggio centrale è come il nucleo di un pianeta: tutto si irradia da esso e tutto deve ritornarvi, è una "legge universale".
8. Come iniziare un discorso o una presentazione in modo sensato.
Un inizio efficace deve essere "sensato". Lo scopo: avere un pubblico che ti ascolta, fin dalla prima parola.
Come iniziare una presentazione, un intervento pubblico? Un inizio efficace deve essere "sensato": deve dare subito una direzione chiara verso la mia tesi. Lo scopo: avere un pubblico che ti ascolta, fin dalla prima parola.
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L’inizio di ogni tuo intervento deve essere sensato. Primo, deve essere logico.
Secondo, deve avere una direzione precisa verso la tua tesi: l’idea principale che vuoi comunicare. Tutto ciò che dici deve convergere verso quell'idea centrale, e quindi anche l'inizio deve mirare fin da subito in quella direzione.
L'errore da non fare
L'errore più diffuso è cercare online una frase celebre, piazzarla all’inizio e poi non usarla più all'interno del discorso. Così facendo, la citazione non ha alcun senso rispetto alla tua idea centrale.
Prima ancora di pensare all’inizio, chiediti qual è il messaggio principale che vuoi dare, perché il messaggio deve essere uno solo. L'inizio, come ogni altro argomento, serve a sostenere quel messaggio. Se usi una citazione, quindi, deve essere funzionale e devi riutilizzarla.
Due strutture a tua disposizione
Lo sviluppo del tuo discorso può seguire due macro-strutture:
Lineare: procedi aggiungendo argomentazioni passo dopo passo per dare forza alla tua idea centrale. Se presenti un prodotto, ad esempio, puoi parlare dei problemi che risolve e dei benefici che dà, costruendo una serie di argomentazioni che portino il cliente a desiderarlo.
Circolare: questa struttura consiste nel ripresentare alla fine ciò che avevi introdotto all'inizio, ma arricchendolo di un nuovo significato. Per capire bene questo passaggio, ti consiglio di ascoltare l’audio del podcast.
La domanda chiave per te
La domanda fondamentale da porti è: che senso ha questo inizio? Va in direzione della mia tesi o è semplicemente un abbellimento?
Nell'audio del podcast, ti spiego come funziona.
Per aiutarti a valutare se iniziare con un racconto o con una citazione, ti consiglio di scaricare la mia checklist operativa e gratuita.
7. Come imparare a comunicare efficacemente.
Il metodo per imparare a comunicare con efficacia smontando la comunicazione altrui.
La comunicazione è efficace quando permette 2 risultati: far capire il messaggio e far sapere al destinatario cosa farsene del messaggio.
Il metodo per imparare a comunicare con efficacia consiste nell'analizzare la comunicazione degli altri, smontandola nelle sue 6 funzioni fondamentali.
Questo ci serve per imparare poi a costruire la nostra comunicazione in modo naturale.
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Comunicazione efficace.
La nostra comunicazione è efficace quando si verificano 2 condizioni:
Chi ti ascolta capisce il tuo messaggio immediatamente o nel minor tempo possibile.
Chi ha capito sa cosa fare con ciò che ha capito.
Per ottenere questi risultati qui ti propongo il metodo dello smontaggio della comunicazione altrui. Così come si smonta un motore per capirne le parti semplici. Ti offro le sei funzioni della comunicazione, basate sui fattori di Jacobson, come strumento per questa analisi.
Comprendere queste funzioni ti permetterà di capire come le comunicazioni sono costruite e, di conseguenza, di costruire la tua comunicazione in modo efficace e naturale. Il punto cruciale è che l'ascoltatore non si limiti a capire, ma sappia anche cosa fare con le informazioni fornite.
Questo è il beneficio ultimo: la tua comunicazione non si ripiega su se stessa, ma può generare azioni e risultati.
Invece di focalizzarti solo su "come" costruire, impara a "smontare" la comunicazione degli altri. Questo ti insegnerà a smontare anche la tua a posteriori, per migliorarla continuamente.
Ecco le 6 funzioni che utilizzeremo per smontare la comunicazione, ti consiglio di ascoltare il podcast, dove le svilisce nei dettagli.
Funzione Referenziale. Si concentra sul contesto, ciò che dobbiamo sapere.
La vediamo applicata nelle presentazioni di prodotti e servizi: caratteristiche, numeri, funzionamento, a cosa serve… È spesso l'unica usata, ma un mero elenco di caratteristiche è come un PDF. Manca la relazione umana. Riferirsi a protocolli noti con i colleghi è referenziale, ma lo si fa con uno scopo, non fine a sé stesso.
Funzione Emotiva. Si concentra sul mittente, la persona che sta parlando.
Riguarda l'espressione del proprio sentimento per ciò che si comunica. È fondamentale perché trasmette passione e costruisce la relazione umana, rinforzando il messaggio e conducendo allo scopo. Se non credi in ciò che dici, è difficile trasmettere entusiasmo.
Funzione Metalinguistica (o Metacomunicativa). Si concentra sul codice, il linguaggio o la comunicazione stessa.
Si manifesta in più occasioni: quando si spiegano termini tecnici (un errore comune è usare gergo specialistico dando per scontato che l'ascoltatore lo conosca); quando si comunica sulla propria comunicazione, spiegando come è stata costruita o perché si è scelto un certo modo di comunicare.
Funzione Fàtica (o di Contatto). Si concentra sul canale/contatto.
Serve a verificare che il canale funzioni (ad esempio in video call: "Mi senti?") o a mantenere il contatto psicologico.
Accade anche quando chi parla tocca l'interlocutore. Viene applicata anche con l'uso di intercalari (come "chiaramente" ripetuto senza significato) per riempire i silenzi. I suggerimento di evitare gli intercalari per tenere la comunicazione più leggera e facile da capire (qui puoi approfondire come eliminare gli intercalari).
Funzione Poetica: Si concentra sul messaggio in sé, sulla sua qualità o forma.
Può essere scivolosa se usata per creare un effetto (es. "effetto wow") scollegato dallo scopo del messaggio. Funziona efficacemente quando si esprime attraverso l'espressività, il coinvolgimento personale, l'umorismo.
Funzione Conativa. Si concentra sul destinatario.
È la più importante per qualunque comunicazione, specialmente quella professionale. Il suo scopo è portare l'ascoltatore a fare qualcosa. Per esempio le "call to action" esplicite (come invitarti a scaricare il mio corso gratuito o chiedere una formazione individuale), pubblicità (invito implicito all'acquisto), richieste dei collaboratori (implicite o esplicite) e messaggi politici e religiosi.
La funzione conativa dovrebbe essere sempre presente nella comunicazione professionale, altrimenti il messaggio rischia di essere fine a sé stesso e l'ascoltatore non saprà cosa farne.
Quando smonti la comunicazione altrui, cerca la funzione conativa.
Capire dove si trova e come è utilizzata ti fornirà gli strumenti per costruire la tua comunicazione efficace che porti le persone a fare ciò che desideri.
6. Parlare con sicurezza. 5 strategie anti ansia per comunicare sicuri.
La vera sicurezza non si basa sulle tecniche, ma sull'essere pienamente presenti in ciò che si dice nel momento in cui lo si dice.
La ricerca dell'approvazione e la preoccupazione anticipata per il risultato finale generano ansia e minano la sicurezza nella comunicazione.
La vera sicurezza non si basa sulle tecniche, ma sul concentrarsi su sé stessi e sull'essere pienamente presenti in ciò che si dice nel momento in cui lo si dice. Questo focus sul presente e l'assaporare il discorso costruisce autorevolezza e relazioni professionali solide.
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La Strategia della cordata per migliorare le relazioni.
L'obiettivo della Strategia della cordata è migliorare la relazione con i clienti, riducendo al contempo la nostra fatica.
Questo porta a una maggiore chiarezza nella comunicazione, maggiore fiducia da parte del cliente o potenziale cliente e una connessione più forte. Il cliente percepisce una maggiore professionalità e una comunicazione più chiara, sentendosi soprattutto ascoltato e compreso.
Questo si traduce in una maggiore sicurezza per noi e in una maggiore probabilità di soddisfare le esigenze del cliente.
Da fornitore di prodotti o servizi a partner di cordata
La Strategia della cordata trasforma chi propone un prodotto o servizio da mero fornitore a vero e proprio partner di cordata, come in una scalata fatta insieme.
Ciò riduce le incomprensioni e permette una gestione virtuosa delle obiezioni, che diventano persino desiderabili per mostrare il nostro valore.
L'approccio tradizionale prevede che a una richiesta del cliente seguano subito con le nostre spiegazioni occupando anche il 90% del tempo di interazione. Questo approccio classico e faticoso e fa sentire al cliente l'odore della vendita e la mancanza di ascolto.
Questo approccio potrebbe essere utile solo qualora potessimo proporre una sola soluzione.
Ma se abbiamo alternative o vendiamo servizi o prodotti su misura, possiamo risparmiare energie e lavorare con il cliente. La strategia vale sia per i clienti esterni che per i collaboratori interni. L'obiettivo è diventare consulenti del cliente.
La cordata: dinamica e condivisa.
La metafora della cordata implica che il cliente arrampica con noi verso la soluzione.
Durante una scalata in montagna, specialmente su un percorso non ancora esplorato, si utilizzano strumenti che permettono di salire la vetta in sicurezza: chiodi, rinvii e corda. Ve sono altri, ma a noi interessano questi.
I chiodi devono essere conficcati, inchiodati, tra le fessure della roccia. I chiodi servono per assicurarsi. Sono degli ancoraggi, dei punti fermi da cui partire insieme. I chiodi sono i punti fermi che regolano l'interazione fra noi e il cliente. È il cliente a porre i primi punti fermi. Anche noi possiamo farlo, ma solo successivamente.
Sui chiodi vengono poi fissati altri strumenti per far passare la corda in sicurezza, sono i rinvii. Il rinvio è composto da due moschettoni tenuti assieme da un anello di corda, che permettono il passaggio della corda in sicurezza.
Si tratta di un lavoro di squadra a due. In cordata, ora è avanti uno, ora l'altro; ci scambiamo.
Non solo noi siamo consulenti, ma il cliente diventa nostro consulente, fornendoci informazioni essenziali.
La responsabilità generale è però sempre nostra. Dobbiamo decidere quando guidare noi e quando farci guidare di più dal cliente. Si arriva a una proprietà condivisa del problema e della soluzione.
Entrambi apprendiamo ("prendere") i "chiodi" dell'altro e condividiamo i "rinvii".
Una relazione efficace è una cordata dinamica, non uno che tira e l'altro che segue. La guida si adatta alle difficoltà e alle specificità che emergono. L'obiettivo è raggiungere la vetta in sicurezza ed efficienza. I rinvii simboleggiano i punti di connessione, accordo e supporto reciproco che permettono la progressione collaborativa.
8 passaggi della Strategia della cordata
La strategia della cordata si articola in più passaggi. Qui ne analizziamo otto.
Ascoltare. Il primo passaggio è ascoltare. Ascoltare in silenzio, evitando di commentare o annuire continuamente, perché distrae noi e l'interlocutore. Non si tratta di rinforzare inutilmente le sue parole. L'ascolto permette al cliente di fissare i suoi primi chiodi, a cui poi potremmo ancorarci.
Fare il punto della situazione e rimandare. Dopo l'ascolto, durante il quale il cliente fornisce informazioni spesso lacunose, è necessario fare il punto della situazione.
Si tratta di sintetizzare i suoi racconti, raccogliere le parti importanti e rimandargliele (entra in gioco il rinvio). Dobbiamo usare il linguaggio del cliente. Questo è il secondo passaggio: essere trasparenti sulla necessità di fare una verifica. Verifichiamo di aver capito il suo problema, e così facendo, anche il cliente si rende conto se abbiamo capito.
E qualora non avessimo capito cosa intendesse il cliente? Non è una brutta figura se non abbiamo capito. Si tratta invece di un'opportunità per capire meglio e fare una proposta mirata.
Dobbiamo abbandonare l'orgoglio e arrampicarci insieme. Rimandare il concetto dell'interlocutore è come piantare "chiodi", ancoraggi che permettono di proseguire insieme in sicurezza. Dicendo "Ok, eri primo tu, adesso passo avanti io e faccio da apripista, seguimi", stiamo piantando un chiodo dopo l’altro.
Empatia. Questo terzo punto ha a che fare con l'empatia. Non significa provare le stesse emozioni, ma rendersi conto delle emozioni del cliente per poterlo aiutare. È vitale. Dobbiamo sentirla davvero, non usare frasi fatte.
L'empatia non è una competenza, ma un modo di essere e di relazionarsi. Possiamo applicare tecniche che ci permettono di vivere la relazione in modo empatico, come riprendere e dichiarare esplicitamente il sentimento della persona o fare ipotesi semplici. Deve essere sincero e sentito.
(Me ne rendo conto, la parola "empatia" è oggi abusata. Tuttavia, il processo è di per sé indispensabile.)
Evitare le frasi fatte. Chiusa frasi fatte per rassicurare le persone è come se si volesse portare da casa la roccia da arrampicare. Un paradosso inutile.
Frasi come "Ti capisco, andrà tutto bene" aumentano solo sfiducia e preoccupazione. Non c'è nulla da imparare a memoria. Dobbiamo prendere le parole del cliente e svilupparle in ragione della co-arrampicata.
Capire a cosa tiene veramente il cliente. Questo quinto passaggio consiste nel capire a cosa il cliente dà veramente importanza. Non è solo la dimensione razionale o economica, ma il valore su cui sta facendo un investimento emozionale. Le sue difficoltà e incertezze, se presenti, prevalgono sulla richiesta razionale. Dobbiamo indagare, non decidere noi a priori.
Esplicitare la nostra passione o opinione professionale. Finalmente possiamo fare la nostra proposta.
Questo sesto passaggio ci permette di esplicitare la nostra opinione professionale. Ma anche la nostra passione per quanto stiamo facendo, se è vero.
Dobbiamo riconoscerci il diritto di esprimere il nostro sentimento reale e sentito. Questo dimostra che siamo vivi e coinvolti. Dimostrare la nostra professionalità con titoli o conoscenze sarebbe la via più scontata.
Nella percezione del cliente, la nostra professionalità emerge dal modo con cui egli si sente ascoltato, compreso, aiutato. Significa in altri termini utilizzare una corda robusta non in senso assoluto, ma nella percezione di chi la sta utilizzando.
Spiegare la proposta molto bene. Spiegarla bene non significa usare parole tecniche o concetti astrusi per dimostrare quanto abbiamo studiato nella nostra vita (professionale). Significa spiegarla in modo che il cliente capisca, usando il suo linguaggio. Il linguaggio deve essere semplice, le spiegazioni dirette, senza dettagli inutili che possono fuorviare. I cliente dovrebbe poter riconoscere con semplicità i chiodi e i rinvii che noi gli stiamo indicando.
Comunicare con calma. La chiarezza dipende dall'aiutare chi ci ascolta a capire. Sebbene il cliente abbia responsabilità, dobbiamo facilitarlo. Non dobbiamo "vomitare" concetti addosso, ma andare con calma, usando pause dopo i concetti. La pausa è una tecnica che potenzia il messaggio, migliorando la connessione e la soddisfazione del cliente.
E poi vi sono molte altre tecniche espressive da utilizzarsi sempre in una relazione ragionata con le nostre affermazioni.
Il cliente è il protagonista.
Soprattutto nella fase iniziale dell'interazione il vero protagonista è il cliente.
È dal suo punto di vista che osserviamo la situazione.
Noi siamo dei comprimari che aiutano a esplicitare la problematica. Il cliente è il titolare del problema. Egli apre la via esponendo la sua visione e le sue necessità. Ci indica la strada della cordata da fare insieme, perché è lui che conosce la propria attività e il proprio contesto.
Con questa strategia il cliente diventa il nostro miglior consulente.
5. Migliorare la comunicazione con i clienti: la Strategia della cordata.
Aumentare la chiarezza della comunicazione, la fiducia del cliente e una connessione più forte. Il cliente diventa il nostro miglior consulente.
Ho concepito la Strategia della cordata per migliorare la relazione con i nostri clienti e ridurre la nostra fatica quando interagiamo con loro.
L'obiettivo è aumentare la chiarezza della comunicazione, la fiducia del cliente e una connessione più forte. Il cliente si sente ascoltato e compreso, percependo maggiore professionalità da parte nostra.
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La Strategia della cordata per migliorare le relazioni.
L'obiettivo della Strategia della cordata è migliorare la relazione con i clienti, riducendo al contempo la nostra fatica.
Questo porta a una maggiore chiarezza nella comunicazione, maggiore fiducia da parte del cliente o potenziale cliente e una connessione più forte. Il cliente percepisce una maggiore professionalità e una comunicazione più chiara, sentendosi soprattutto ascoltato e compreso.
Questo si traduce in una maggiore sicurezza per noi e in una maggiore probabilità di soddisfare le esigenze del cliente.
Da fornitore di prodotti o servizi a partner di cordata
La Strategia della cordata trasforma chi propone un prodotto o servizio da mero fornitore a vero e proprio partner di cordata, come in una scalata fatta insieme.
Ciò riduce le incomprensioni e permette una gestione virtuosa delle obiezioni, che diventano persino desiderabili per mostrare il nostro valore.
L'approccio tradizionale prevede che a una richiesta del cliente seguano subito con le nostre spiegazioni occupando anche il 90% del tempo di interazione. Questo approccio classico e faticoso e fa sentire al cliente l'odore della vendita e la mancanza di ascolto.
Questo approccio potrebbe essere utile solo qualora potessimo proporre una sola soluzione.
Ma se abbiamo alternative o vendiamo servizi o prodotti su misura, possiamo risparmiare energie e lavorare con il cliente. La strategia vale sia per i clienti esterni che per i collaboratori interni. L'obiettivo è diventare consulenti del cliente.
La cordata: dinamica e condivisa.
La metafora della cordata implica che il cliente arrampica con noi verso la soluzione.
Durante una scalata in montagna, specialmente su un percorso non ancora esplorato, si utilizzano strumenti che permettono di salire la vetta in sicurezza: chiodi, rinvii e corda. Ve sono altri, ma a noi interessano questi.
I chiodi devono essere conficcati, inchiodati, tra le fessure della roccia. I chiodi servono per assicurarsi. Sono degli ancoraggi, dei punti fermi da cui partire insieme. I chiodi sono i punti fermi che regolano l'interazione fra noi e il cliente. È il cliente a porre i primi punti fermi. Anche noi possiamo farlo, ma solo successivamente.
Sui chiodi vengono poi fissati altri strumenti per far passare la corda in sicurezza, sono i rinvii. Il rinvio è composto da due moschettoni tenuti assieme da un anello di corda, che permettono il passaggio della corda in sicurezza.
Si tratta di un lavoro di squadra a due. In cordata, ora è avanti uno, ora l'altro; ci scambiamo.
Non solo noi siamo consulenti, ma il cliente diventa nostro consulente, fornendoci informazioni essenziali.
La responsabilità generale è però sempre nostra. Dobbiamo decidere quando guidare noi e quando farci guidare di più dal cliente. Si arriva a una proprietà condivisa del problema e della soluzione.
Entrambi apprendiamo ("prendere") i "chiodi" dell'altro e condividiamo i "rinvii".
Una relazione efficace è una cordata dinamica, non uno che tira e l'altro che segue. La guida si adatta alle difficoltà e alle specificità che emergono. L'obiettivo è raggiungere la vetta in sicurezza ed efficienza. I rinvii simboleggiano i punti di connessione, accordo e supporto reciproco che permettono la progressione collaborativa.
8 passaggi della Strategia della cordata
La strategia della cordata si articola in più passaggi. Qui ne analizziamo otto.
Ascoltare. Il primo passaggio è ascoltare. Ascoltare in silenzio, evitando di commentare o annuire continuamente, perché distrae noi e l'interlocutore. Non si tratta di rinforzare inutilmente le sue parole. L'ascolto permette al cliente di fissare i suoi primi chiodi, a cui poi potremmo ancorarci.
Fare il punto della situazione e rimandare. Dopo l'ascolto, durante il quale il cliente fornisce informazioni spesso lacunose, è necessario fare il punto della situazione.
Si tratta di sintetizzare i suoi racconti, raccogliere le parti importanti e rimandargliele (entra in gioco il rinvio). Dobbiamo usare il linguaggio del cliente. Questo è il secondo passaggio: essere trasparenti sulla necessità di fare una verifica. Verifichiamo di aver capito il suo problema, e così facendo, anche il cliente si rende conto se abbiamo capito.
E qualora non avessimo capito cosa intendesse il cliente? Non è una brutta figura se non abbiamo capito. Si tratta invece di un'opportunità per capire meglio e fare una proposta mirata.
Dobbiamo abbandonare l'orgoglio e arrampicarci insieme. Rimandare il concetto dell'interlocutore è come piantare "chiodi", ancoraggi che permettono di proseguire insieme in sicurezza. Dicendo "Ok, eri primo tu, adesso passo avanti io e faccio da apripista, seguimi", stiamo piantando un chiodo dopo l’altro.
Empatia. Questo terzo punto ha a che fare con l'empatia. Non significa provare le stesse emozioni, ma rendersi conto delle emozioni del cliente per poterlo aiutare. È vitale. Dobbiamo sentirla davvero, non usare frasi fatte.
L'empatia non è una competenza, ma un modo di essere e di relazionarsi. Possiamo applicare tecniche che ci permettono di vivere la relazione in modo empatico, come riprendere e dichiarare esplicitamente il sentimento della persona o fare ipotesi semplici. Deve essere sincero e sentito.
(Me ne rendo conto, la parola "empatia" è oggi abusata. Tuttavia, il processo è di per sé indispensabile.)
Evitare le frasi fatte. Chiusa frasi fatte per rassicurare le persone è come se si volesse portare da casa la roccia da arrampicare. Un paradosso inutile.
Frasi come "Ti capisco, andrà tutto bene" aumentano solo sfiducia e preoccupazione. Non c'è nulla da imparare a memoria. Dobbiamo prendere le parole del cliente e svilupparle in ragione della co-arrampicata.
Capire a cosa tiene veramente il cliente. Questo quinto passaggio consiste nel capire a cosa il cliente dà veramente importanza. Non è solo la dimensione razionale o economica, ma il valore su cui sta facendo un investimento emozionale. Le sue difficoltà e incertezze, se presenti, prevalgono sulla richiesta razionale. Dobbiamo indagare, non decidere noi a priori.
Esplicitare la nostra passione o opinione professionale. Finalmente possiamo fare la nostra proposta.
Questo sesto passaggio ci permette di esplicitare la nostra opinione professionale. Ma anche la nostra passione per quanto stiamo facendo, se è vero.
Dobbiamo riconoscerci il diritto di esprimere il nostro sentimento reale e sentito. Questo dimostra che siamo vivi e coinvolti. Dimostrare la nostra professionalità con titoli o conoscenze sarebbe la via più scontata.
Nella percezione del cliente, la nostra professionalità emerge dal modo con cui egli si sente ascoltato, compreso, aiutato. Significa in altri termini utilizzare una corda robusta non in senso assoluto, ma nella percezione di chi la sta utilizzando.
Spiegare la proposta molto bene. Spiegarla bene non significa usare parole tecniche o concetti astrusi per dimostrare quanto abbiamo studiato nella nostra vita (professionale). Significa spiegarla in modo che il cliente capisca, usando il suo linguaggio. Il linguaggio deve essere semplice, le spiegazioni dirette, senza dettagli inutili che possono fuorviare. I cliente dovrebbe poter riconoscere con semplicità i chiodi e i rinvii che noi gli stiamo indicando.
Comunicare con calma. La chiarezza dipende dall'aiutare chi ci ascolta a capire. Sebbene il cliente abbia responsabilità, dobbiamo facilitarlo. Non dobbiamo "vomitare" concetti addosso, ma andare con calma, usando pause dopo i concetti. La pausa è una tecnica che potenzia il messaggio, migliorando la connessione e la soddisfazione del cliente.
E poi vi sono molte altre tecniche espressive da utilizzarsi sempre in una relazione ragionata con le nostre affermazioni.
Il cliente è il protagonista.
Soprattutto nella fase iniziale dell'interazione il vero protagonista è il cliente.
È dal suo punto di vista che osserviamo la situazione.
Noi siamo dei comprimari che aiutano a esplicitare la problematica. Il cliente è il titolare del problema. Egli apre la via esponendo la sua visione e le sue necessità. Ci indica la strada della cordata da fare insieme, perché è lui che conosce la propria attività e il proprio contesto.
Con questa strategia il cliente diventa il nostro miglior consulente.
4. Lo sguardo quando parliamo e comunichiamo.
Potenziare il messaggio quando fai presentazioni usando il tuo sguardo. Trasformare il problema dello sguardo in una efficace risorsa espressiva.
L'obiettivo è affrontare la fatica nella gestione dello sguardo per farne un alleato potente del messaggio. Qui ti aiuto a rendere lo sguardo funzionale al messaggio. Il vantaggio sta nel concentrarsi sulla logica del messaggio anziché sull'ansia da prestazione.
Vediamo come e perché potenziare il messaggio usando lo sguardo, imparando dagli altri e facendone un uso strategico.
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3. Comunicare in modo convincente in 4 step.
4 step per presentare le tue idee in modo originale e autentico. L'obiettivo è far maturare la convinzione nell'interlocutore, lasciando l'impronta della tua autenticità.
Comunicare in modo convincente significa comunicare con trasparenza, originalità e autenticità, l'opposto della manipolazione.
Queste qualità derivano dalla nostra esperienza di vita e dalle 'buone ragioni' che ci rendono unici e irripetibili come professionisti. Ti spiego un metodo pratico in 4 step per presentare le tue idee in modo efficace, partendo dalle idee comuni per poi mostrare la tua prospettiva unica basata sulla tua esperienza personale.
L'obiettivo è far maturare la convinzione nell'interlocutore, lasciando l'impronta della tua autenticità.
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