Coinvolgere e comunicare efficacemente: le evidenze e l’auto interazione.

Immaginate di essere in una riunione aziendale con diverse persone. Una di loro mostra presentazioni fantastiche, con grafici colorati ed effetti speciali, tuttavia parla in modo noioso. Questo finisce per rendere il contenuto e meno coinvolgente e forse meno interessante.

Tuttavia lo scopo non è fare bella figura.

Dobbiamo superare l'idea della prestazione e cioè della esibizione delle nostre capacità.

Il vero scopo di ogni presentazione consiste nell’aiutare gli altri a comprendere i contenuti. Siamo qui per aiutare, non per impressionare.

Come parlare e comunicare con più efficienza e quindi più efficacia?

Vediamo tre situazioni: nelle prime due siamo ascoltatori, nella terza siamo noi a parlare, che è poi quello che qui ci interessa maggiormente.

Prima situazione: le emergenze.

Durante una conferenza ci troviamo tra il pubblico e ascoltiamo senza poter interagire con chi parla. Se l'oratore ci sembra noioso o troppo veloce nel parlare impedendoci di comprendere bene i suoi contenuti, che cosa facciamo in modo naturale per cercare di capire?

Di solito facciamo affidamento sulla nostra capacità di osservazione per cogliere i punti essenziali. In questo caso, anche o perlopiù inconsciamente, prestiamo attenzione ai momenti in cui lo speaker fa qualche cosa di diverso: io le chiamo le emergenze. Insomma, in modo naturale noi cerchiamo elementi rilevanti in ogni intervento pubblico, anche quelli meno avvincenti.

Immaginate di entrare in un ristorante affollato cercando un tavolo libero: ci sono solo pochi tavoli vuoti. Questi divengono per noi i punti focali, ciò su cui concentriamo il nostro sguardo: sono elementi che emergono rispetto a tutto il resto. In questo caso l'assenza di persone al tavolo “emerge”.

Le emergenze ci sono sempre, possono essere sfumate, sottili, delicate, ma ci sono. Per esempio un volume più forte ma anche più piano. Oppure un cambio di tono, più alto o più grave. Oppure la velocità, accelerata o decelerata. Dinanzi al più monocorde dei discorsi, siamo noi che cerchiamo le emergenze per la nostra smania di capire e magari comprendere.

Le emergenze possono essere anche parole ripetute, che spesso indicano concetti chiave. Dobbiamo però fare attenzione a distinguere tra le parole ripetute in quanto “chiave” e quelle ripetute come intercalari, come per esempio avverbi del tipo "chiaramente", "logicamente", "naturalmente". Si tratta perlopiù di rinforzi usati da chi si sente incerto o insicuro.

Seconda situazione: l’interazione, cioè l'azione fra persone.

È un momento in cui, diversamente da prima, possiamo interrompere la persona. Perché? Perché ci troviamo a tu per tu o in un gruppetto con poche persone. Significa che se una persona sta dicendo un concetto che non ci è chiaro, noi possiamo concretamente interromperla per avere chiarimenti.

L'interazione permette a chi parla di spiegarsi ulteriormente per aiutarci a capire.

Entrambi, chi ascolta e chi parla, stiamo agendo reciprocamente per creare insieme la comunicazione. Non distinguiamo più nettamente chi parla e chi ascolta: entrambi lo stiamo facendo, entrambi stiamo interagendo

Terza situazione: siamo noi a presentare, a parlare in pubblico.

In questo caso, possiamo utilizzare sia le emergenze sia l'interazione. Vediamo come.

Tocca a noi a far emergere anche con intenzione e volontà. Con i clienti che seguo in consulenza lavoro parecchio proprio su questo, perché è fondamentale. Sta a noi sottolineare certe parole chiave. Sta a noi rallentare nei momenti in cui dobbiamo dire qualcosa che ha un peso specifico maggiore. Oppure fare una opportuna pausa.

Ma a proposito invece dell'interazione, abbiamo due possibilità. La prima è l’interazione con il pubblico, ad esempio facendo domande dirette, chiuse o aperte che siano. Tuttavia non è di questo tipo di interazione che voglio parlarvi ora.

Ciò che ci interessa è l'interazione con noi stessi.

Riflettete sulle occasioni in cui avete fatto confusione nel presentare un concetto; non vi siete forse sentiti inadeguati? Al contrario, quando esponete in modo piacevole e suscitate interesse, percepite pure voi una certa soddisfazione: potete sentirvi piacevoli nel vostro eloquio. Nel conversare con qualcuno, allora, non solo l'interlocutore ci ascolta, ma anche noi stessi.

In sostanza, quando parliamo, siamo la prima persona ad interagire con noi stessi. Noi ci ascoltiamo per primi.

E come possiamo fare per interagire con noi stessi? Possiamo fare esattamente quello che ho fatto adesso: mi sono posto una domanda esplicitandola, ho interagito con me stesso. Questo processo dovrebbe risultare più chiaro nel video qui sopra.

In definitiva instauro una sorta di dialogo con me stesso: mi pongo domande, mi do risposte, mi sollevo obiezioni e le sciolgo. È l’auto interazione.

Per migliorare il nostro eloquio

È fondamentale osservare.

L’osservazione delle persone che incontriamo ogni giorno ci aiuta a capire, da ascoltatori, che cosa possiamo fare per parlare con più efficacia, ma anche che cosa è meglio evitare, in particolare quando chi parla non ci sta davvero aiutando a capire.

Quindi torniamo a noi stessi e, con la pratica, sperimentiamoci: facciamo prove, tentativi ed esperimenti.

E poi di nuovo osserviamo noi stessi e le altre persone.

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